Ravenna, personale a rischio in ospedale: decine di aggressioni

RAVENNA. Da alcuni giorni il caldo asfissiante è arrivato a Ravenna, rendendo difficile uscire anche per pochi minuti senza soffrire l’afa. Un clima rovente si respira però anche dentro il pronto soccorso dell’ospedale, dove ormai da mesi, se non addirittura da anni, si registrano episodi di violenza ai danni degli operatori sanitari. Medici, infermieri e oss che ogni giorno fanno il proprio lavoro con solerzia, cercando di garantire quel servizio primario per una comunità che è la salute, ma che tuttavia si trovano a dover combattere con la maleducazione e a volte purtroppo anche l’aggressività delle persone.
Cosa scateni l’ira di coloro che si trovano al pronto soccorso è difficile dirlo, anche se si può provare ad interpretare. E in questo caso i tempi di attesa a volte anche di ore farebbero infuriare chiunque. Tuttavia è evidente che le lunghe ore trascorse a sedere in attesa di essere visitati, spesso, sono il risultato di un problema sostanzialmente culturale. Anche se alcuni sindacati aggiungono che si tratti di un problema anche di «organizzazione carente da parte dell’Ausl».
Un problema culturale, dunque, perché è evidente che andare all’ospedale per un mal di pancia vuol dire contribuire a ingolfare un sistema che dovrebbe far fronte alle emergenze. Per i mal di pancia ci dovrebbero essere i medici di base da consultare o la guardia medica. E invece non è così, l’ospedale resta sempre il primo pensiero per coloro che non si sentono bene.
Gli accessi impropri
Tradotto, il Pronto soccorso del Santa Maria delle Croci, specialmente in estate con l’arrivo dei turisti, si trova a dover affrontare tra i 200 e i 300 accessi giornalieri. Un numero enorme di pazienti che, per forza, porta a lunghi tempi d’attesa per i codici verdi e bianchi. Ossia tutte quelle persone le cui patologie vengono ritenute non gravi.
Stare seduti in attesa a volte anche una intera giornata con il caldo rovente, però, rischia di far salire il malumore ed è così che gli operatori sanitari diventano i capri espiatori di un sistema sanitario che forse a volte non è poi così del tutto efficiente.
I numeri
Secondo i dati diffusi dall’azienda Usl della Romagna, l’anno scorso nell’ospedale di Ravenna sono stati registrati 152 episodi di violenze ai danni di medici, infermieri e operatori socio sanitari. Un numero che potrebbe sembrare esiguo ma che invece non lo è affatto. Perché a conti fatti vuol dire che un giorno sì e un giorno no un assistente sanitario si trova a dover subire un’aggressione nel corso del suo lavoro.
I conflitti
«Quelle verbali sono all’ordine del giorno – spiega Paolo Palmarini, segretario regionale della Uil Funzione pubblica – ma purtroppo a volte dobbiamo registrare anche aggressioni fisiche».
«C’è un evidente problema di organizzazione – aggiunge Luca Lanzillotti della Uil di Ravenna – perché gli ospedali non sono in grado di fare filtro. La colpa ovviamente non è degli operatori sanitari, che fanno un lavoro eccellente, ma di una azienda che dovrebbe mettere in campo idee nuove per risolvere tutto questo e i cittadini, al contempo, dovrebbero iniziare a vedere il personale degli ospedali come fossero veri e propri pubblici ufficiali».
Far West?
Parlare di “far west”, in questo momento, forse è ancora prematuro. Anche perché delle 152 violenze subite l’anno scorso e segnalate dall’Ausl, la maggior parte sono aggressioni di tipo verbale. In buona sostanza persone che, in attesa ormai da ore, hanno reagito alzando la voce senza rendersi conto che erano loro stessi la causa del problema. Solo una minima parte riguarda invece violenze fisiche. «Numeri da non sottovalutare – commenta l’Ausl –, ma che non paiono prefigurare situazioni diverse da altri territori».
Pressing per risolvere
La domanda che da alcuni giorni si stanno però ponendo tutte le sigle sindacali è una: ci sono delle soluzioni per risolvere il problema alla radice? Cgil, Cisl e Uil ne hanno messe alcune per iscritto e hanno già chiesto un incontro all’assessore regionale Sergio Venturi per iniziare a discutere sul tema. Una specie di tavola rotonda alla quale si dovrà sedere anche l’Ausl, che fin da ora dichiara la sua disponibilità al confronto.

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