Ravenna, parente la violenta per vendetta dopo denuncia di stupro

E’ stata punita per essersi permessa di denunciare gli abusi sessuali subiti per anni insieme alla sorella maggiore ad opera dello zio. Non le hanno fatto una “ramanzina” per convincerla a ritrattare le accuse. Gliel’hanno fatta pagare affinché non dimenticasse lo sgarbo: tenuta stretta da due sconosciuti, sarebbe stata stuprata in casa da un altro zio, mandato dal fratello ormai consapevole di essere indagato. E’ l’episodio choc raccontato per circa due ore ieri pomeriggio da una ragazza residente a Ravenna, sentita di fronte al giudice per le indagini preliminari Janos Barlotti nel corso dell’incidente probatorio chiesto dal sostituto procuratore Angela Scorza. Nel fascicolo aperto per violenza sessuale di gruppo, sono quattro gli indagati: i due fratelli (41 anni il presunto esecutore e 35 il mandante) e altre due persone al momento ancora ignote.

Spedizione punitiva

I fatti, secondo l’accusa, risalirebbero al 3 febbraio del 2021. È quello il giorno in cui la giovane avrebbe aperto la porta al parente e ad altri due uomini. Sarebbe stata prima insultata e minacciata affinché ritirasse la denuncia che aveva portato alla notifica dell’avviso di garanzia nei confronti dell’altro zio. Di fronte al suo rifiuto sarebbe scattata la ritorsione da ricordare per tutta la vita. Portata in camera da letto, i due estranei l’avrebbero tenuta ai polsi per consentire al 41enne di abusare della nipote.

La ragazza non ha denunciato subito l’accaduto. Lo avrebbe fatto solo cedendo alle insistenze del fidanzato, insospettito dal suo comportamento insolito. E’ stato lui a informare i servizi sociali e i carabinieri. Lei si è però lasciata andare alle confidenze solo al pronto soccorso di fronte all’evidente traccia di ecchimosi ai polsi, oltre a lievi lesioni all’altezza di una spalla e ad altri segni riscontrati nel corso della visita ginecologica.

L’alibi degli indagati

Sulla base di quelle rivelazioni, dalla Procura di Ravenna il 5 febbraio dello scorso anno è partito un decreto di fermo nei confronti del 41enne, raggiunto in un comune del Veneto dagli investigatori della squadra Mobile. Tuttavia all’epoca, il gip decise di non convalidare il provvedimento di fronte alle prove presentate dall’indagato a sostegno di un alibi in apparenza di ferro: fu il suo avvocato a riferire che il giorno stesso dei fatti contestati l’uomo si trovava nel suo studio, a centinaia di chilometri dal capoluogo bizantino. Così il parente è tornato in libertà e tuttora non è sottoposto ad alcuna misura cautelare.

Pertanto il pm ha chiesto di sentire nuovamente la giovane, in un’udienza tenuta ieri in un’aula chiusa del Palazzo di Giustizia, alla quale hanno potuto assistere a distanza anche gli indagati (difesi dall’avvocato Michele Masso) e lo stesso difensore della vittima, l’avvocato Simone Balzani.

Il fascicolo parallelo

Già nel settembre scorso la ragazza era stata ascoltata in tribunale con la sorella maggiore in merito agli abusi sopportati fin da adolescenti. Un trauma che nel 2019 l’avevano portata a compiere un gesto disperato. Cresciuta pensando che le attenzioni riservate dallo zio fossero una genuina dimostrazione di affetto, lei e la sorella avevano realizzato una volta divenute donne che c’era qualcosa di sbagliato negli atteggiamenti vissuti come routine familiare. Erano così emersi i racconti dei palpeggiamenti subiti fin da quando avevano 13 e 11 anni. Fatti terribili per i quali c’è un altro fascicolo aperto dal sostituto procuratore Cristina D’Aniello, che vede il 35enne indagato per violenza sessuale aggravata e istigazione al suicidio.

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