Ravenna, nonna col covid "sparisce" dal reparto. Parenti all'oscuro

Ravenna

«Mia nonna è stata scaricata come un sacco di patate. Anzi, almeno quello avrebbe avuto un codice di tracciatura». Usa queste parole Giuseppe Graziani, un 42enne nato a Lugo ma residente nel Riminese, per commentare cinicamente quello che è accaduto alla loro famiglia. Un difetto di comunicazione all’interno di una situazione ospedaliera, che li stava tenendo in ansia da giorni.

L’incredibile vicenda

Protagonista inconsapevole di questa vicenda è la signora Giacoma Bacchilega, 91enne di Lugo, che agli inizi di novembre si frattura il femore e che soffre di un’unica patologia che la debilita veramente, la sordità. «Abbiamo allertato il pronto soccorso che l’ha trasportata in ortopedia all’ospedale di Ravenna – racconta il nipote –; qualche giorno dopo verrà operata ma purtroppo all’interno di quel reparto verrà contagiata dal coronavirus, quindi trasferita nel reparto dedicato ai pazienti covid – spiega –. Inizialmente era asintomatica, poi arriva la febbre alta e da quel momento dal reparto nessuno ci informa per alcuni giorni».

Gli attuali protocolli non permettono, o comunque limitano le telefonate dei familiari ai pazienti in reparto; questo per non portare via tempo e risorse al personale sanitario, che invece programma le chiamate con gli aggiornamenti. «Mia sorella non tollerava più questo silenzio e ha chiamato il centralino dell’ospedale – prosegue Graziani – e qui arriva il paradosso: le rispondono che la nonna non risultava più ricoverata. Subito ha pensato a un errore e ha riprovato, almeno tre volte, ma la risposta è stata la stessa. A quel punto in tutti noi si è materializzata la conseguenza più tragica – sottolinea il nipote –: una donna anziana, contagiata dal covid e con la febbre, se non è più lì deve esser morta. Vi garantisco che leggerlo non sarà mai come ipotizzarlo; in un minuto ti passano davanti oltre 40 anni di vita, la nostra assieme a lei».

La rabbia

A quel punto, «chiamiamo infuriati il reparto – prosegue – e finalmente scopriamo che la nonna è viva, ma che era stata trasferita in una casa protetta dove vengono indirizzati i pazienti covid meno problematici. Dedichiamo pochi istanti per esternare lo sdegno per non averci avvisato e ci facciamo dare subito il nome della struttura». E quando i familiari telefonano, la gioia di appurare che la nonna è davvero lì viene mitigata dall’esternazione di chi è dall’ altra parte della cornetta: “Per fortuna che vi siete fatti vivi voi, perché noi non sapevamo chi avvisare, non abbiamo nessun contatto di riferimento”. «Posso capire lo stress e la situazione anomala di questa pandemia – conclude Giuseppe Graziani – ma come si fa a trasferire una persona in quelle condizioni senza avvisare la famiglia, senza lasciare i nostri dati a chi la accoglie? E come si fa a riceverla senza chiederli? Adesso la possiamo almeno vedere in videochiamata e speriamo che torni presto a casa, ma quel che è successo voglio che lo sappiano tutti perché ci sia più rispetto per i malati e chi li circonda».

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