Ravenna, Minguzzi, colpo di scena alla perizia fonica: "La voce non è dell'imputato"

La voce delle telefonate estorsive ricevute nell’aprile del 1987 dalla famiglia di Pier Paolo Minguzzi non apparterrebbe a Orazio Tasca, uno dei tre imputati accusati di avere rapito e poi ucciso nell’aprile di 35 anni fa il 21enne di Alfonsine, ai tempi carabiniere di leva a Bosco Mesola. Il colpo di scena nel processo per il cold case riaperto nel 2018 con la riesumazione del corpo del ragazzo, arriva con l’esito della perizia fonica affidata dalla Corte d’assise di Ravenna a Luciano Romito, docente di Linguistica all’università della Calabria. L’esperto si era preso cinque mesi di tempo per svolgere un compito impegnativo quanto cruciale; e ieri ne ha riassunto i risultati, che di fatto dicono l’esatto opposto di quanto sostenuto dal consulente della Procura. E così l’aula s’infiamma fin dalle prime battute, quando il sostituto procuratore Marilù Gattelli anticipa l’intenzione di chiedere la nullità dell’elaborato sollevando questioni di accesso alle operazioni peritali.

Le telefonate

La perizia partiva da un’evidenza investigativa incontrovertibile. E cioè che due mesi dopo il ritrovamento del corpo del povero Pier Paolo (riemerso dal Po di Volano il Primo maggio dell’87, dieci giorni dopo la scomparsa) anche i Contarini, altra famiglia locale di ricchi imprenditori nel campo dell’ortofrutta, avevano ricevuto telefonate minatorie con la pretesa di 300 milioni di lire, stessa cifra richiesta ai Minguzzi per la consegna del figlio rapito. Quest’ultima estorsione si era conclusa il 13 luglio con l’arresto dei due carabinieri di Alfonsine, Orazio Tasca e Angelo Del Dotto, e del complice Alfredo Tarroni, idraulico del paese, - ora difesi dagli avvocati Luca Orsini, Luca Silenzi e Andrea Maestri - tutti condannati per l’omicidio del carabiniere Sebastiano Vetrano, morto nella sparatoria avvenuta durante l’agguato organizzato per coglierli sul fatto alla consegna del denaro. In quell’occasione Tasca aveva confessato di aver fatto lui le telefonate ai Contarini. E il suo marcato accento siciliano non poteva che ricordare quello dell’anonimo telefonista che nell’aprile precedente aveva tempestato di chiamate i Minguzzi. Non bastasse, in una di queste, il misterioso interlocutore aveva pure fatto confusione fra le due famiglie, “ Pronto Contarino? Contarini?”, aveva chiesto storpiando i cognomi per poi correggersi con quello giusto, “ Pronto Minguzzi?”. Errore tipico di Tasca. Mancava insomma solo la comparazione di un esperto di fonologia forense, per dare la prova schiacciante del coinvolgimento dell’ex carabiniere. E a cascata, sarebbe stato l’assist per tirare in ballo anche gli altri due imputati Perché - questa una delle argomentazioni della Procura - quante altre bande dedite al racket delle estorsioni ci saranno mai state nell’87 nella piccola Alfonsine?

Colpo di scena nella perizia

Eppure la conclusione del professor Romito è categorica. Confrontando le intercettazioni delle estorsioni ai Contarini con quelle ai Minguzzi, emerge che «la voce nota di Orazio Tasca non corrisponde alla voce anonima presente nelle utenze intestate ai Minguzzi», dunque, «appartengono a due distinti parlatori». Siciliani entrambi, sì, ma il primo ascrivibile all’accento tipico della «vasta area centrale» dell’isola, mentre il secondo «alle parti orientali delle province di Messina o Catania, Siracusa, o all’importante centro marinaro agrigentino di Sciacca».

Scontro fra esperti

Critico il consulente della Procura, l’ingegnere Sergio Civino, che analizzando le bobine dell’epoca era giunto a una differente valutazione, stabilendo un rapporto di verosimiglianza: e cioè che la tesi dell’identità tra le due voci, nota e ignota, fosse 2.884 volte più probabile della tesi opposta. Disaccordo anche sulla scelta fatta dall’esperto nominato dalla Corte di esaminare 42 secondi di conversazione a fronte dei 2 minuti e 40 secondi a disposizione. E se il telefonista avesse camuffato la voce? La domanda arriva da uno dei consulenti delle parti civili. Per Romito l’esito non sarebbe cambiato: anche se l’interlocutore avesse tentato di correggere le proprie inflessioni linguistiche avrebbe comunque tradito la propria provenienza.

«Il processo non si decide oggi»

È il presidente Michele Leoni (a latere il giudice Antonella Guidomei) a chiudere la polemica sulle modalità di accesso alle operazioni peritali, che hanno portato il pm a chiedere la nullità della perizia: «La Corte ha completa fiducia nel proprio perito», ha detto, invitando a «restare sul tecnico». Ha infine aggiunto in chiusura, come a rassicurare le parti: «Non è che il processo si decide oggi sulla base della perizia, ma la perizia va nell’ambito di tutte le prove presentate». Eppure le sue parole a inizio udienza suonano quasi come una sentenza anticipata: «Il telefonista anonimo non è Tasca».

L’affanno di “Alex”al telefono

Tra i quesiti posti posti, il professor Romito doveva rispondere esaminare anche le bobine contenenti le conversazioni tra il sedicente “Alex”, identificato in Enrico Cervellati, e Sabrina Ravaglia, all’epoca fidanzata di Pier Paolo Minguzzi. In quelle telefonate, avvenute dopo il sequestro e continuate anche dopo il ritrovamento del cadavere, “Alex” confidava alla ragazza di essere a conoscenza di circostanze particolari legate al sequestro. Sentito in aula durante il processo, Cervellati ha ammesso di essersi inventato tutto all’epoca, pur di ottenere le attenzioni della giovane. Ma sul suo presunto coinvolgimento continuano a battere le domande del presidente della Corte E proprio dall’esperto linguista arrivano alcuni spunti su domande specifiche: la persona al telefono era «sicuramente settentrionale», e nel caso di una telefonata affannosa fatta alla Ravaglia da una cabina telefonica, «sicuramente qualcosa, delle emozioni, nel segnale acustico c’è». Qualcosa come paura? E nel caso, di che cosa?

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