Ravenna, «Lavoratore morto per radiazioni». Vedova risarcita a vita

RAVENNA. Quell’uomo è morto in conseguenza delle radiazioni a cui è stato esposto per tutti i suoi diciotto anni di lavoro. La sentenza scritta dal giudice del lavoro Dario Bernardi parla chiaro e ora l’Inail è stata condannata a pagare alla moglie una “Rendita ai superstiti” a vita. Così la vedova di un lughese che per vent’anni aveva lavorato in un’azienda ravennate come radiologo industriale - ha vinto la sua battaglia. Certo il marito, strappatole via a soli 46 anni per un improvviso tumore ai reni, non potrà tornare indietro, ma la moglie ha finalmente avuto le risposte che cercava da tempo, aprendo un caso che sicuramente porterà ora tanti altri radiologi industriali a interrogarsi.

La relazione del medico legale

Alla decisione il giudice di Ravenna è giunto grazie alle testimonianze degli ex colleghi del 46enne, ma soprattutto grazie alla relazione del consulente, il medico legale dell’università di Bologna Mauro Gherardi, che dopo aver studiato il caso ha concluso utilizzando queste parole: «Si ritiene che l’esposizione cronica alle radiazioni ionizzanti, di natura occupazionale, abbia svolto un ruolo concausale nel determinismo della neoplasia renale che condusse a morte il lavoratore».

Si parla di “concausa” perché la vittima. era un fumatore, ma secondo l’esperto il vizio non sarebbe comunque stato così elevato da portarlo al decesso. La carriera del 46enne era iniziata nel 1997 e terminata nel 2015, quando aveva cominciato a stare male, sempre come tecnico radiologo industriale addetto al controllo delle tubazioni. In buona sostanza il suo compito, come dipendente, era quello di controllare la perfetta esecuzione delle saldature attraverso l’utilizzo di una sorgente radioattiva o con un tubo a raggi X. Per anni l’uomo - così come sostenuto dall’avvocato Gianni Casadio - ha quindi esposto il suo corpo a radiazioni nocive che, piano piano, lo hanno condotto alla morte.

La testimonianza

Oltre al parere dell’esperto, fondamentale nel processo (così come citato dal giudice nella sua sentenza) è stata la testimonianza di un ex collega di lavoro del 46enne, da cui è emerso un quadro a tratti inquietante.
Il testimone ha raccontato come ogni giorno il loro compito fosse quello di andare ad eseguire radiografie con materiale radioattivo, “protetti” solo da un cicalino che emette dei suoni più o meno intensi in relazione alla quantità di radiazioni che ci sono nell’ambiente e una piastra dosimetrica attaccata addosso che rileva la dose di radiazioni assorbite dal tecnico.

Ogni 45 giorni la piastra viene mandata ad analizzare e in base alle radiazioni assorbite il medico dell’azienda fa saltare alcuni giorni di lavoro. Oltre alla piastrine però non utilizzerebbero - stando sempre a quanto riportato dal suo ex collega in aula - né tute né altro tipo di abbigliamento idoneo a schermare gli addetti da quei raggi potenzialmente mortali.
Non è infatti un caso se i radiologi industriali operano negli stabilimenti solo dopo l’orario di chiusura, in modo che i dipendenti dell’azienda non possano essere sottoposti alle radiazioni conseguenti dal lavoro.

L’indagine

Con la decisione presa dal giudice Bernardi, ora si apre l’ipotesi sempre più concreta dell’apertura di un fascicolo d’indagine di natura penale, per il reato di omicidio colposo a carico dell’azienda dove lavorava il 46enne.
È stato infatti lo stesso magistrato a trasmettere la sua sentenza alla Procura della Repubblica, chiedendo di valutare eventuali profili di reato. L’Inail, nel frattempo, ha già annunciato che non farà appello contro la sentenza civile.

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