Ravenna, la volontaria con i migranti della Ocean Viking: "Valeva la pena esserci"

«Capodanno non mi ha mai fatto impazzire. Questo, di certo, non lo dimenticherò mai». Niente brindisi o fuochi d’artificio. Il conto alla rovescia che ha lasciato il segno nelle ultime ore del 2022 a Ravenna ha raggiunto lo zero in pieno giorno al terminal di Porto Corsini, all’attracco della Ocean Viking. Lì, fra i volontari pronti ad accogliere i 113 profughi recuperati al largo della Libia, c’era anche Silvia Manzani. Giornalista, membro dell’associazione Refugees Welcome, si era candidata per salire a bordo di una nave umanitaria proprio il giorno prima che il Viminale ufficializzasse il porto bizantino come destinazione per lo sbarco. Chi crede nel destino lo prenderebbe come un segno. Silvia si è fatta avanti, entrando a fare parte del team coordinato dai servizi sociali del comune di Ravenna per seguire - passati i controlli sanitari e le procedure di identificazione - madri e minori non accompagnati. «Un’esperienza stupenda», racconta descrivendo il vortice di emozioni provato, «l’arrivo della nave, i bambini, quei piccoli congelati, gli sguardi delle donne vittime di tratta». Ne parla ancora con l’adrenalina delle ore trascorse nell’ultimo tendone della banchina. Una prima volta anche per Ravenna, premiata dallo spirito di adattamento di sanitari, forze dell’ordine e, appunto, volontari. «Dovevamo fare colloqui con i minori non accompagnati, gestire le destinazioni, intrattenerli - continua Silvia -. In realtà abbiamo fatto un po’ di tutto». Come accogliere una giovanissima madre: «Veniva dalla Guinea e aveva una bimba di tre mesi. Non stava in piedi. Le ho proposto di tenerle la bambina e le abbiamo dato una branda. Appena si è stesa si è addormentata». Tra i naufraghi qualcuno ha trovato la forza per raccontare la propria storia: «C’era un bambino della Costa d’Avorio - ricorda la volontaria - avrà avuto 10 anni, poco più di mio figlio. Gli ho chiesto con chi fosse partito e mi ha indicato suo fratello, 19 anni appena. Un altro minore mi ha detto che in Libia sentiva spari tutto il giorno». A regnare durante lo sbarco, lo spaesamento di chi ha visto la morte in faccia e ancora vede la salvezza come un miraggio: «Erano spaesati, shoccati. La prima mamma con cui ho parlato, una delle poche che ha descritto il naufragio, ha detto che li avevano salvati in mare, che era convinta di morire con la sua bambina, ha descritto quanto fosse stata dura sulla nave perché per quattro giorni aveva tenuto in braccio la figlia, cercando di scaldarla perché a bordo era freddo». Per Silvia è stata la dimostrazione che «esiste un po’ di umanità, qualcosa per cui vale la pena esserci». Quella stessa notte, mentre la città festeggiava l’arrivo del 2023, era di turno nella comunità che ha accolto alcuni dei bambini appena sbarcati. Un’ulteriore certezza, per loro, riconoscere quegli occhi verdi prima di addormentarsi, finalmente tutti in salvo, sulla terra ferma.

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