Trentotto anni fianco a fianco, fino a quell’ultimo mese di peggioramento dello stato di salute, in cui l’ha vegliato ininterrottamente: «Sostenerlo nella sua opera pastorale è stata un’esperienza incredibile, era una persona straordinaria». Suor Paola Pasini aveva 25 anni quando divenne la segretaria di Ersilio Tonini. Era già da tempo a Santa Teresa, luogo con cui lei, proveniente da Portomaggiore, aveva un legame quasi predestinato: «Dopo la Guerra i miei erano marmisti, e io ero la più grande di dieci fratelli. Avevamo vinto l’appalto proprio per i pavimenti della chiesa di Santa Teresa e la prima volta che venni qui fu per riscuotere una fattura, da giovanissima – spiega la religiosa -. Quando poi, poco più tardi, decisi di vocare la mia esistenza a Dio, al mio padre spirituale confidai che pensavo alla clausura. Lui me la sconsigliò, soffrivo di emicranie e pensava che quel genere di vita le avrebbe peggiorate. A 19 anni, pertanto, scelsi di tornare in questa chiesa». E così, quando nella fine del 1975 Ersilio Tonini giunge a Ravenna perché ordinato arcivescovo, lei viene destinata alla sua segreteria: «Non mi scelse, mi assegnarono al suo ufficio. Soprattutto perché lui volle sin dall’inizio vivere non nell’Arcivescovado, ma qui a Santa Teresa. Io fino a quel momento ero addetta alla portineria».
Ed è proprio dai primissimi momenti che vissero assieme che Suor Paola capisce quale fosse il grande segreto di Tonini: «Ero una ragazza, avevo poca esperienza e certe dinamiche non le capivo proprio, in fondo avevo fatto la terza media. Come arrivò, ebbe subito mille pensieri a cui dedicarsi ma sin dall’inizio mi chiamò per nome. Ebbi immediata fiducia incondizionata. Era così che lui conquistava le persone: si sentivano riconosciute e valorizzate». L’altro modo con cui entrava in empatia con gli altri era l’esempio: «Aveva un rapporto profondissimo con Dio, ma lo praticava con le azioni – chiarisce la suora -. Fu esattamente per questo che volle vivere qui, a Santa Teresa: qui vide la difficoltà e capì l’opportunità. L’occasione qui di dare vita al suo progetto pastorale».
Suor Paola è sicura che «fu questo l’elemento che portò i ravennati a volergli così bene. E poi la sua capacità di unire». Per esemplificare la religiosa porta alla memoria la fase vissuta dalla chiesa post-conciliare, che vide a Ravenna un dibattito a dir poco vibrante: «Qui si era verificato persino uno sciopero delle cresime e non è facile gestire una diocesi se i tuoi preti sono divisi – rievoca quei tempi, Paola Pasini -. Lui seppe essere un pacificatore, facendo sentire tutti importanti, partecipi nell’opera pastorale». Un disegno di cui suor Paola è stata fedele custode, trascrivendo negli anni circa un’ottantina di diari del Cardinale, grazie alla capacità di decifrare anche alcuni simboli, che Tonini utilizzava per velocità di scrittura: «Mi spiegò lui, mano a mano, come intendere la sua grafia. Mi ero impratichita con i diari di mio padre, prigioniero nel Regno Unito, durante la Seconda Guerra Mondiale». Una collaborazione e una vicinanza che non si interromperà nemmeno un attimo, per tutti i 38 anni in cui Ersilio Tonini rimarrà a Ravenna: «Nell’ultimo mese avevamo deciso di stargli sempre accanto in una fase così importante nella vita di un credente e io ogni mattina andavo al suo capezzale, aspettando si svegliasse – racconta Suor Paola -. Nei giorni conclusivi era nel letto dell’infermeria e mi chiedeva “dove sono?”. Io rispondevo: “A Santa Teresa”. E lui immediatamente si rassicurava, per lui era come sentirsi dire “sei a casa”». La segretaria di Tonini ricorda anche le ultime parole scambiate: «Il cardinale era una calamita per i poveri, tutti gli ponevano un bisogno e lui sapeva anche capire chi aveva davvero necessità. E per tutti aveva la risposta adatta. Vedendo avvicinarsi la sua dipartita, glielo dissi chiaramente. «Quando non ci sarà più, come faremo con tutti i bisognosi. Mi aiuterà dall’Aldilà, quando mi raccoglierò in preghiera? Lui raccolse le forze e rispose con un “sì” deciso, una promessa che mi diede molta forza». Con un solo rammarico: «Non l’ho mai abbracciato, per una forma di rispetto, di riverenza. Avrei voluto, ed è l’unico rimpianto che mi resta».