Ravenna, l'ingegnere della Cmc: "Non c'è più tempo da perdere"

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Da 22 anni nella stessa azienda, la Cmc, da ingegnere civile. Prima a seguire i cantieri, per fare la gavetta, in Italia e in mezzo mondo. Poi la “promozione” nella sede di Ravenna, a supporto delle commesse nazionali ed estere, oltre che nel contributo a costituire le offerte per acquisirne di nuove. Paolo Bighi, per difendere il suo posto di lavoro, ancora non aveva manifestato. I lavoratori della cooperativa di via Trieste, quando era esplosa la crisi di liquidità del colosso ravennate delle costruzioni, si erano incontrati in decine di assemblee, con sindacati e azienda.

«Ieri siamo scesi in piazza, assieme alla dirigenza della nostra cooperativa. Perché di nemici non ce ne sono, ma abbiamo bisogno di venire ascoltati. O la situazione può arrivare ad un punto di non ritorno».

Bighi, pensa che se il Governo non fosse nelle condizioni di esercitare il suo ruolo necessario nella gestione della crisi aziendale, voi possiate perdere il lavoro?

«Sì, il presidio è stato deciso per questo. Davvero la sensazione, parlando con i nostri rappresentanti sindacali e nei report che ci giungono dall'azienda, è che questa possa essere la stretta finale. Da quattro anni attendiamo una soluzione e ora temiamo che se non si procede subito, possa essere troppo tardi».

Da quattro anni siete in cassa integrazione. Non una condizione semplice. Peraltro avete dei sospesi con l'azienda...

«Sì, un mese di arretrato. Poi le quote relative di tredicesima, quattordicesima e c'è chi, fra i colleghi, ha anche i depositi di prestito sociale e i ratei di tfr. Sono problematiche che, però, per usare un gergo informatico “riduci a icona”. Perché la nostra attenzione è sulla sopravvivenza dell'azienda».

Quanti anni ha, Paolo?

«Quarantanove, la strada per la pensione è lunga. Ma al di là della sorte personale, c'è anche la convinzione che questa azienda abbia tutte caratteristiche per andare avanti ed essere competitiva nel mercato».

C'è però un grosso fardello debitorio...

«Sì, senza il quale potremmo andare avanti. Conosciamo tutti il concordato preventivo, le scadenze di novembre scorso non sono state onorate ed è stata negoziata una dilazione. Ora serve un'operazione che ci consenta, in breve, di riparare a questa fase e tornare a fare la nostra parte. Eravamo 450 a Ravenna, ora siamo un terzo. E nella stessa proporzione si è ridotto il nostro portafoglio ordini. Tutti noi lavoratori, però, ci troviamo consapevoli del fatto che la Cmc è, su specifici ambiti, richiesta in tutto il mondo. Per know how e disponibilità di strutture. L'Italia si appresta ad attuare il Pnrr e noi non possiamo starne fuori. Sarebbe una perdita per il Paese e un controsenso. E per noi, un problema sociale». an.ta.

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