Ravenna, una chiazza nera di 40 metri in mare: processo a equipaggio di una nave

RAVENNA - Secondo l’accusa l’ordine dato era stato chiaro: aprire gli scarichi e gettare nelle acque del porto di Ravenna l’olio motore esausto e altri prodotti inquinanti presenti nella pancia di ferro della motonave. In brevissimo tempo attorno alla prua della nave “Mia” – cargo di oltre 17mila tonnellate battente bandiera panamense – si era formata una chiazza nera galleggiante di oltre 40 metri. Un “mantello” maleodorante e, soprattutto, estremamente inquinante.

Il primo ad accorgersi di quella chiazza era stato un pilota, che aveva immediatamente informato la capitaneria di porto. Una volta giunti sul posto, gli uomini della capitaneria di Ravenna si erano accorti di cosa stava accadendo. Fra gli scarichi chiusi del mezzo, quello posto sotto la scala di immersione della motonave stava sversando del liquido di colore nero direttamente nelle acque del porto (proprio quelle che poi si ricollegano al mare Adriatico). Considerando che la macchia si stava velocemente espandendo, il personale addetto al controllo era quindi salito a bordo del cargo, dando il via a una serie di controlli dettagliati.

Dall’analisi del mezzo la capitaneria si era subito accorta di trovarsi davanti a una nave con gravissime carenze in fatto di sicurezza. La sala macchine era quasi completamente allagata con una miscela di acqua e olio, mentre quasi dappertutto erano abbandonati rifiuti di plastica o di pezzi utilizzati per le manutenzioni, come ad esempio dei filtri. Tutto venne fotografato, ma la scoperta più inquietante gli inquirenti saliti sulla Mia quel primo luglio di due anni fa la fecero quando misero piede nell’impianto di scarico delle acque reflue.
Secondo l’accusa al centro del processo in corso, alcuni membri della nave avevano dolosamente collegato, tramite una pompa esterna, l’impianto con quelle delle acque di sentina (dove si trova un mix inquinante fatto di miscela di carburanti, oli esausti, lubrificanti, acque residue del lavaggio di motori e ponti).

Proprio per via delle diversità dei due liquidi, le navi sono dotate di condotti ben separati, dato che le acque reflue, previa purificazione, possono essere scaricate secondo le regole del codice della navigazione. Insomma, quella terribile macchia inquinante secondo l’accusa non era capitata per caso, ma era il frutto di una volontà ben chiara da parte dell’equipaggio. Per questo motivo scattò la denuncia per il reato di inquinamento doloso in concorso, che ha portato al rinvio a giudizio dei due marittimi di nazionalità turca Osman Baslanti, in qualità di comandante della motonave, e di Ahmet Kaya, in qualità di direttore di macchina (entrambi sono difesi dall’avvocato Andrea Valentinotti). Ieri mattina il pubblico ministero, al termine della sua requisitoria, ha chiesto la condanna di entrambi gli imputati a 6 mesi di carcere, oltre al pagamento di 6mila euro di ammenda ciascuno.

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