Terza media, primo giorno di scuola. Suona la campanella della fine delle lezioni, gli studenti si avviano a piedi, chi verso casa, chi verso i genitori in attesa. Un piccolo screzio tra un adolescente e altri due compagni di origine marocchina accende la scintilla della discriminazione razziale. Non direttamente fra i ragazzini, ma da parte del padre del minorenne sentitosi escluso e preso di mira dai due amici stranieri. Il genitore lo avrebbe sollecitato a dare la caccia agli ex amichetti per poi minacciarli di morte con frasi razziste, bollandoli come inferiori e spronando infine il figlio affinché si vendicasse servendosi di un martello. Fatti – quelli accaduti il 14 settembre del 2021 in un comune dell’entroterra ravennate – per i quali ora l’uomo, un 42enne di origine napoletana difeso dall’avvocato Raffaella Salsano, deve rispondere ora di minaccia e istigazione all’odio razziale. Il processo nei suoi confronti si è aperto ieri davanti al giudice monocratico Tommaso Paone, che ha ascoltato le testimonianze dei tre marocchini (due fratelli e un altro connazionale) che quel giorno si rifugiarono all’interno del cimitero chiedendo aiuto al custode, per poi chiamare la polizia.
Avevano litigato
A monte della vicenda ci sarebbe una precedente discussione tra i minorenni, oggetto di un procedimento tutt’ora pendente presso il tribunale di Minori per presunti episodi di bullismo. «Avevamo litigato – ha candidamente ammesso uno dei due stranieri rispondendo alle domande del vpo Marianna Piccoli -. Non volevamo più uscire con lui perché si comportava come un bambino. Quel giorno stavamo solamente camminando dietro di lui quando si è voltato chiedendoci perché lo stessimo seguendo». In difesa del ragazzino sarebbe intervenuta anche la madre. Infine il padre, pochi minuti dopo, si sarebbe presentato sotto casa dei due fratelli pretendendo di parlare con i genitori: «Nostra madre non gli aprì, perché non parla bene l’italiano». Così il 42enne si sarebbe appostato per la “vendetta”, mettendola in pratica vedendo nuovamente uscire i due fratelli insieme all’altro amico della stessa nazionalità. «Ci tagliò la strada con il furgone dicendoci di salire e accusandoci di avere insultato sua moglie e picchiato suo figlio». Al loro rifiuto sono partite frasi inquietanti: una su tutte, “al posto suo vi avrei già tagliato la gola” e poi, “vi squarto”.
L’inseguimento al cimitero
Il confronto è poi proseguito in un crescendo di violenza. All’altezza del cimitero, il trio ha nuovamente visto il furgone nero del 42enne fare alcuni giri della rotonda per poi fermarsi. Stavolta sono scesi padre e figlio. “Picchia i marocchini, noi siamo napoletani, siamo più forti di loro”, gli avrebbe ordinato il padre. L’uomo avrebbe quindi cercato di gestire lo scontro uno contro uno, indicando il maggiore dei due fratelli (all’epoca 14enne) che avrebbe dovuto affrontare. Gli altri li aveva avvisati: “Voi fermi o ve la vedrete con me”. Ne è certo uno dei due testi sentiti, un tempo amico del ragazzino escluso: «Lui non voleva picchiarci, piangeva mentre suo padre gli ordinava di farlo». Poi il genitore gli ha intimato, “vai a prendere il martello dal furgone”. Probabilmente non trovandolo, il ragazzino avrebbe ripiegato con una scopa, lanciandosi all’inseguimento del gruppetto dentro al cimitero. Nel frattempo il genitore continuava con gli insulti razziali: “Il Marocco non è qua, mi dovete portare rispetto”. La lezione che il figlio avrebbe dovuto imparare, riportata dagli stranieri (difesi dall’avvocato Matteo Paruscio, del Foro di Rimini), era questa: “Tu non devi uscire con questi marocchini, che devono tornare al loro paese”. L’intervento del custode del cimitero aveva bloccato il trambusto, cercando di fare ragionare l’uomo. A farlo battere in ritirata, però, sarebbe stata solo la telefonata alla polizia.