Ravenna, il caso Sol LeWitt diventa nazionale

Ravenna

Da settimane il dibattito suscitato dall’esposizione al Mar di Wall Drawing #570 dell’artista statunitense Sol LeWitt anima gli amnienti culturali cittadini. Ora la discussione si arricchisce degli spunti offerti da alcuni addetti ai lavori di spessore nazionale, segno che la vicenda va ben al di là delle dinamiche locali, toccando temi che accendono l’interesse di esperti e critici d’arte di tutta Italia.

E così ieri, interpellati dal Fatto Quotidiano, hanno espresso il proprio parere sulla questione tre pezzi da novanta del panorama artistico italiano: si tratta di Laura Lombardi, docente di fenomenologia delle arti contemporanee all’Accademia di Brera di Milano, Cristina Acidini, ex soprintendente del Polo museale fiorentino e ora presidente dell’Accademia delle arti del disegno nel capoluogo toscano e il noto critico Vittorio Sgarbi.

Sostanzialmente concordi le posizioni di Lombardi e Acidini, che propendono per assecondare la volontà manifestata dalla figlia di LeWitt, Sofia, alla curatrice del Mar Giorgia Salerno. «La volontà di un artista va sempre rispettata, senza se e senza ma – afferma Lombardi –. Tuttavia, se l’artista avesse lasciato scritto chiaramente quale fosse questa volontà, sarebbe stato più semplice per tutti arrivare in fondo a questa vicenda. E se non esiste un documento scritto, un certificato, per me ha ragione la figlia a chiedere la distruzione dell’opera».

Di documenti e certificati, come fa giustamente notare la professoressa, pare non esserci traccia: solo l’inventariazione dell’opera nel patrimonio del museo, risalente agli anni ’90, che il Mar ritiene sufficiente per giustificare la propria decisione. «Secondo me l’opera andrebbe distrutta – sostiene Acidini –. Se un artista ha espresso questa volontà e a suo tempo è stata accettata, non c’è alcun dubbio. I conservatori sono tali, ma delle opere realizzate da artisti consenzienti. Perché se il gesto artistico si completa con la distruzione dell’opera, questa deve essere distrutta».

Le parole di Acidini scoprono un tasto dolente dell’iniziativa del Mar: la distruzione dell’opera fa parte dell’opera stessa, e a dirlo non sono i polemisti di oggi, ma era lo stesso Sol LeWitt, considerato uno dei padri dell’arte concettuale.

In controtendenza è invece l’opinione di Vittorio Sgarbi: il suo ragionamento si basa sulla considerazione che l’opera si LeWitt sia da assimilare a una «reliquia» o a un bene archeologico: «È un reperto e come tale va trattato. Si può anche non esporre, ma distruggerlo sarebbe contro natura e nessuno può decidere in vece di un artista che non c’è più. Tutto potrebbe cambiare solo se esistesse un contratto. In mancanza di quello, l’opera deve essere conservata».


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