Sciopero della fame in carcere da parte dei detenuti con pena inferiore ai 4 anni, attualmente ristretti nella casa circondariale di Ravenna per scontare condanne divenute definitive.
Il caso
La protesta, iniziata ieri, contesta la decisione del Tribunale di sorveglianza di Bologna di non concedere la detenzione domiciliare entro i 4 anni di condanna definitiva. Tramite i rispettivi familiari, già da ieri, hanno deciso di rendere noto oltre le mura di Port’Aurea il gesto di protesta, in vista di una nota ufficiale che potrebbe giungere nella giornata di domani.
Fra le voci, quella della moglie di un carcerato, che preferisce non fare il nome del coniuge. «E’ giusto che chi ha sbagliato paghi, compreso mio marito. Ma se la legge prevede che sotto i 4 anni e a fronte di condotte positive si possano scontare pene definitive ai domiciliari, non vedo perché la scelta intrapresa vada nella direzione opposta, più oppressiva». Nel caso specifico, racconta, «mio marito aveva il braccialetto elettronico e scontava ai domiciliari un residuo pena di 8 mesi, sottoponendosi a regolari controlli delle forze dell’ordine. La dottoressa che lo stava seguendo ci aveva confortato dicendoci che stava intraprendendo un ottimo percorso. Invece a fine marzo è dovuto tornare in carcere».
Le ragioni
La protesta coinvolge circa una quarantina di persone all’interno del penitenziario. «Non hanno nulla contro la casa circondariale – puntualizza la donna, divenuta una sorta di portavoce del marito e di altri compagni di cella –. Sono trattati bene, va tutto bene. Si stanno ribellando contro questa decisione e chiedono di far sapere che hanno iniziato lo sciopero della fame contro quella che ritengono essere un’ingiustizia».