Ravenna, ispettori del lavoro assenteisti: "Condannate i furbetti del cartellino"

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Una «truffa documentale» con «episodi reiterati», emersi da una costola dell’inchiesta sui “furbetti del cartellino”, la stessa che nel 2014 ha fatto tremare l’Ispettorato del lavoro di Ravenna. Per l’accusa, nei video estrapolati dalla sede di via Alberoni tra ottobre e novembre del 2015 c’è quanto basta per chiedere la condanna a 2 anni e 750 euro di multa per Giuseppe Tedesco, ex responsabile alle ispezioni della sede di via Alberoni della Direzione territoriale del lavoro e ora in servizio a Forlì. A fargli compagnia anche i due ex colleghi, la funzionaria 68enne Marisa Sasdelli (ora in pensione) e il 54enne Umberto Rosano, nei confronti dei quali ieri il vice procuratore onorario Simona Bandini ha chiesto condanne rispettivamente per un anno e 400 euro e un anno e quattro mesi e 600 euro. Inizialmente erano sei gli imputati, accusati di avere totalizzato un numero complessivo di circa 80 assenze ingiustificate ma comunque retribuite dallo Stato, alcune di 15 minuti, altre ben più lunghe, fino a oltre tre ore, tutto in nemmeno due mesi di tempo. Alcuni avevano scelto di patteggiare, chiudendo ben prima la faccenda. Per i restanti il processo è andato avanti tra inciampi e questioni procedurali, tanto da far dilatare i tempi che ora si avvicinano alla prescrizione. A rallentare il tutto era stata proprio un’eccezione sollevata dalle difese sulle telecamere “spia” posizionate nella sede della Direzione territoriale del lavoro per incastrare i dipendenti sotto inchiesta. I legali, in buona sostanza chiedevano di poter consultare i filmati ritenuti dall’accusa incriminanti. E proprio su quegli stessi filmati ieri hanno indugiato le arringhe dei difensori. A partire dall’avvocato Giovanni Scudellari, che con il collega Antonio Primiani ha sostenuto che tutte le uscite effettuate da Rosano senza timbrare fossero legate a esigenze di servizio, al massimo «per raggiungere l’auto parcheggiata nel cortile» o «per una pausa sigaretta». Descrivendo il proprio assistito come «una persona seria e onesta», ha insistito sulla mancanza «dell’elemento costitutivo del danno patrimoniale», conteggiando la presunta retribuzione non dovuta in circa 90 euro, a fronte di diverse ore di straordinari svolti secondo il legale senza chiedere un euro in più. «Non temiamo la sentenza – ha esordito il difensore – ci preoccupano più i giornali che titoleranno sui “furbetti del cartellino”, quando invece questa vicenda non ha nulla a che vedere con l’indagine principale». A seguire i colleghi, l’avvocato Giorgio Guerra per Tedesco, secondo il quale «i 21 minuti contestati sono la somma dei piccoli passaggi filmati dalla telecamera, oltre alla quale ci sono solo sospetti». I filmati non dicono, secondo il difensore dove andasse l’imputato, che «proprio in quel periodo stava facendo accertamenti nel locale adibito ad archivio». Ultimi a prendere parola per Sasdelli, gli avvocati Marina Tambini e Claudio Monti, secondo i quali nessuno degli spostamenti addebitati alla funzionaria all’epoca in servizio all’ufficio risoluzione delle controversie di lavoro si sarebbero diretti fuori dalla sede per motivi diversi dalle «ricerche di pratiche amministrative da consegnare agli utenti». La sentenza arriverà a metà mese e rappresenta l’ultimo tassello della maxi indagine denominata “Black job”, che aveva gettato un’ombra sull’andazzo di certi dipendenti dell’Ispettorato del lavoro in quegli anni, accertando corruzione e assenteismo da parte di due principali funzionari, poi processati entrambi di avere percepito “bustarelle” in cambio di soffiate sugli accertamenti nei confronti di alcuni fra i più noti locali della provincia.

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