Ravenna: causa per la rimozione della Concordia, perito condannato

Nominato come perito del tribunale nell’ambito di un contenzioso tra le imprese coinvolte nelle operazioni per rimuovere il relitto della Costa Concordia dopo il naufragio all’isola del Giglio, accettò l’incarico senza riferire di essere creditore di una delle due parti in causa: per l’esattezza, di un’azienda controllata dalla ravennate Micoperi. Un interesse tale da mettere in dubbio l’imparzialità di Antonio Sama, ingegnere navale 71enne residente a Cervia, che in seguito a un esposto della controparte è finito processo con l’accusa di falsa perizia. E’ stato condannato ieri pomeriggio a 8 mesi dal giudice monocratico Andrea Chibelli, che ha riqualificato il reato in “falsa dichiarazione a un pubblico ufficiale su qualità personali proprie”.

L’esperto rischiava due anni, secondo quanto chiesto dal vice procuratore onorario Simona Bandini al termine della requisitoria. E a calcare la mano erano poi arrivate a pioggia le istanze avanzate dalle tre parti civili, l’imprenditore Diego Pregarz Quartika Projacts e Prgrz (assistite dagli avvocati Antela Giagnorio, Paolo Coppa e Matteo Levantino, di fori di Gorizia e Venezia) che non solo avevano chiesto provvisionali per circa 1,2 milioni di euro, ma avevano anche avanzato la proposta di trasmettere gli atti alla Procura per valutare l’ipotesi di falsa testimonianza nei confronti del patron della Micoperi, Silvio Bartolotti, in merito alla deposizione messa a verbale durante il processo. Per il giudice, tuttavia, le parti offese dovranno portare avanti le proprie rivendicazioni circa il risarcimento in sede civile.

Il macchinario contestato

Pomo della discordia un “frantumatore”; un macchinario commissionato da Micoperi per aspirare e ripulire i detriti rimasti sul fondale del Giglio, una volta concluse le operazioni del consorzio italo-statunitense Titan-Micoperi per il recupero del relitto della nave da crociera naufragata a un passo dall’isola Toscana il 13 gennaio 2012. Uscito dalla fabbrica e testato da un pull di enti, tra i quali Ispra e il Servizio emergenze ambientali in mare, quello strumento era stato bollato come non idoneo. Da qui la decisione del patro dell’azienda ravennate di stracciare il contratto, avanzando una richiesta di risarcimento da 2,5 milioni di dollari.

Si inserisce qui la vicenda del perito cervese. Il quale, chiamato dal tribunale il 19 luglio 2016 per eseguire una perizia super partes sullo strumento contestato, si “dimenticò” di riferire di di avere effettuato un lavoro per una società controllata dalla Titan Micoperi nei due anni precedenti. Esaminato il curriculum e accorgendosi della passata collaborazione, la controparte di Micoperi cercò invano per due volte di ricusare l’esperto, il quale consegnò la propria relazione giungendo a conclusioni in linea con quanto già espresso in maniera ancor più severa dagli organi competenti. Ecco allora che fu un esposto in Procura ad avviare l’inchiesta approdata alla condanna di ieri.

La difesa dell’imputato

Per la difesa dell’ingegnere, tutelato dagli avvocati Maurizio Mauro e Ivano Guadagnini, il dibattimento non avrebbe dimostrato alcuna consulenza infedele, né una falsa perizia, scagliandosi contro «una proliferazione di parti civili ansiose di mettere mani nelle tasche dell’ingegnere». Bollando la macchina come «una sola» finanche a utilizzare l’espressione «truffa», i legali hanno insistito sulla correttezza delle dichiarazioni dell’imputato, che non avrebbe fatto mistero dei passati rapporti di lavoro con Micoperi; non sarebbe stato al corrente - secondo i difensori - che il committente per il quale aveva eseguito una recente perizia su mezzi navali, era legato all’azienda di Bartolotti e che sarebbe stato proprio quest’ultima a doverlo pagare. Eppure proprio quelle fatture, poi saldate dal colosso ravennate dopo avere accettato l’incarico peritale sul contenzioso della Costa Concordia, hanno alimentato le tesi di accusa e parti civili, portando alla condanna.

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