Ravenna, "cane preso a calci per paura": il vicino va a processo

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Ha dato un calcio alla recinzione. Un gesto d’ira, quasi una reazione d’istinto verso il cane che in passato aveva avuto un atteggiamento percepito come aggressivo. Attaccato alla rete, tuttavia, c’era il muso dell’animale, una femmina di razza tipo American Staffordshire Terrier, che è stata colpita in pieno dalla pedata. Così l’autore del calcio, un 56enne, è finito a processo, accusato di maltrattamento di animali.

L’udienza nei suoi confronti (difeso dall’avvocato Giovanni Chianese) si è aperta ieri mattina davanti al giudice monocratico Tommaso Paone e al vice procuratore onorario Adolfo Fabiani.

Un calcio per spavento

I fatti risalgono al 2020. Era il 18 aprile quando nel cortile di un’abitazione di Marina Romea, marito e moglie, padroni della bestiola, sono scesi a chiedere conto al vicino di che cosa fosse successo alla loro cagnolina. Lui ha candidamente ammesso: si sarebbe spaventato per via dell’abbaiare del quadrupede che già in passato lo aveva aggredito, e come reazione avrebbe sferrato un calcio alla recinzione, finendo però per colpirlo.

Sentito il veterinario

A riferire le conseguenze di quel calcio, ieri durante il dibattimento è stato chiamato a deporre dalla Procura il medico veterinario che a suo tempo curò il cane. Il suo ricordo è di «una cagna conciata male, con ecchimosi, ematomi e sangue, penso di averle dovuto dare anche punti di sutura».

Prognosi finale, 5 giorni. A lui il proprietario «disse di avere un conflitto con un vicino di casa. Era talmente turbato al punto da chiedere due righe a suo uso personale». Il veterinario così attestò l’ipotesi più plausibile: “lesioni da calci sul muso”.

La registrazione

Alla luce della denuncia sporta dai padroni del cane, all’epoca intervennero i carabinieri della Stazione di Marina Romea. A parlare, ieri in udienza, è stato il militare che si è occupato di trascrivere una conversazione registrata tra le parti, nella quele l’imputato ammetteva di avere dato un calcio alla recinzione metallica al di là della quale si trovava l’animale. Una “confessione” che ha portato così al processo che si è aperto ieri.

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