Ravenna: bullismo a scuola, preside a processo

Ravenna

Finiti nel mirino dei bulli fin dal primo giorno di scuola superiore, hanno sopportato per anni vessazioni e violenze fisiche e verbali. Parlarne con i professori non è mai servito a nulla, neppure quando l’ennesimo scontro fisico si è concluso all’ospedale. Dopo due denunce sporte dalle vittime del “branco”, è finita a processo l’ex preside del polo professionale di Lugo, rimasta in carica fino al 2020. Accusata di non avere segnalato all’autorità giudiziaria i responsabili della più grave fra le quotidiane aggressioni in classe lamentate dai due studenti, si è opposta a un decreto penale di condanna, decidendo di difendersi nel merito e sostenendo di non essere mai stata adeguatamente informata dai docenti della gravità della situazione. Così ieri mattina, ormai in pensione da un anno, è stata assolta perché “il fatto non costituisce reato”.

Sbattuto contro un banco

Risale al 19 ottobre 2019 l’episodio che ha fatto scattare la prima querela da parte di uno dei due studenti vessati, poi seguito a ruota anche dal compagno. Ieri il ragazzo ne ha ricordato la dinamica in aula, partendo dal contesto delle provocazioni iniziate nel 2016. «Fin dalla prima si sono creati piccoli gruppi etnici. Io ero l’unico della mio Paese, e in tre hanno iniziato a bullizzarmi perché andavo bene a scuola. Mi chiamavano “Fishman” dicendo che avevo la faccia da pesce, un altro compagno lo avevano soprannominato “Topo”. Poi hanno iniziato a darci dei “froci”». Bersagliati da cerbottane e lanci di merendine sbriciolate, spintonati in palestra con la scusa della partita di basket, bloccati in bagno in cerca del confronto fisico; era la quotidianità di scherzi percepiti come routine persecutoria. Fino al giorno di uno spintone contro lo spigolo di un banco: «Intervenne un prof, mi chiese se stavo bene e gli dissi che no, non stavo bene. Gli feci vedere la schiena. Quando arrivai a casa, mi misi a piangere vedendo il livido allo specchio, e andai all’ospedale». Sei i giorni di prognosi refertati.

«La vicepreside sminuì»

Ecco come l’accaduto fu trattato dai docenti. Nessuna nota disciplinare. Solo una “relazione” alla dirigente, fatta da un professore «come atto per liberarsi dalla responsabilità dell’accaduto», ha riferito ieri l’imputata. «Chiesi dettagli alla vicepreside, ma mi rispose che si trattava di dinamiche di poco conto, già risolte all’interno della classe». Una risposta se non altro coerente, perché la docente (deceduta di recente) è la stessa che a detta delle parti offese sarebbe stata informata fin da subito dell’atteggiamento dei bulli, limitandosi però a «sminuire sempre, sostenendo che erano solo ragazzate e che ci avrebbe pensato lei». Così, quando il consiglio di classe decise di sospenderne uno per sei giorni, la motivazione fu che semplicemente disturbava in classe.

Gli scandali nell’istituto

Non c’erano dunque motivi per la preside (difesa dall’avvocato Simona Brescia del foro di Rimini) per segnalare il gruppetto “vivace” all’Autorità Giudiziaria, al contrario di quanto fatto invece per altri «gravi episodi avvenuti» in quel periodo negli istituti del polo scolastico da lei diretto. «Ci siamo occupati di un caso di pedopornografia, lesioni personali e in quello stesso periodo di uno studente buttato in un cassonetto della spazzatura». Solo dopo la denuncia, ricevuta la visita della polizia di Stato, la dirigente ha avviato un’indagine interna, appurando tuttavia che il referto medico del pronto soccorso non era mai stato portato in segreteria, e nessuno, né gli studenti né i genitori, l’avevano mai contatta per segnalare l’accaduto, lasciandola di fatto all’oscuro di una situazione tutt’altro che tranquilla.

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