Ravenna, abbandonati dall'armatore, 27 marittimi tornano a casa

Ravenna

In tutto 27 uomini, alcuni appena maggiorenni, altri sessantenni, con famiglie a casa ad attenderli. Marittimi abbandonati dal loro armatore a migliaia di chilometri da casa, senza stipendio, senza mezzi di sussistenza, senza certezze sulla possibilità di tornare – in qualche modo – a casa. Per nutrirli, assisterli e riportarli nei loro Paesi – Azerbaigian, Turchia, Ucraina – si è mobilitata la macchina della solidarietà che ruota attorno al porto, e che «risponde sempre prontamente», come spiega il capitano Carlo Cordone, presidente del Comitato territoriale welfare Gente di mare. «Non forniamo solo cibo ai marittimi, ma lavoriamo per la loro sicurezza e dignità di uomini – sottolinea –. Essere abbandonati dal proprio armatore è un’esperienza traumatica».

La nave cisterna Gobustan è ormeggiata nel porto di Ravenna dai primi di luglio e sequestrata, insieme alla Sultan Bey: entrambe appartengono alla flotta della società armatoriale turca Palmali e sono state fermate per debiti non pagati, con l’arresto in Turchia del fondatore. Sulla prima erano imbarcati 13 marittimi, fra cui un cadetto – unico subito rimpatriato –, per lo più di nazionalità Azera. Altri 14 marittimi lavoravano sulla Sultan Bey.

Rimasti senza sostentamento, sono stati soccorsi dal Comitato di Welfare della Gente di Mare (composto da Stella Maris, Comune di Ravenna, Capitaneria di Porto, Autorità Portuale, Itf Ravenna, Associazione Agenti raccomandatari e Mediatori marittimi, Associazione Ravennate Spedizionieri internazionali, Corpo Piloti, Gruppo Ormeggiatori, Sers Srl e Avvisatore Marittimo), che si è subito attivato per soddisfare le necessità primarie dei due equipaggi. Grazie alla raccolta fondi tra i componenti del Comitato e tra operatori portuali, al contributo dell’AdSP, della Stella Maris Nazionale e dell’Itf di Londra, i volontari sono riusciti ad assicurare a entrambe le navi gli approvvigionamenti di viveri, acqua e carburante.

Il problema più grosso, però, è stato il rimpatrio, fra voli ridotti al lumicino e protocolli sanitari rigidissimi a causa della pandemia da Covid-19. Un vero rompicapo trovare la quadratura fra le norme imposte dallo Stato azero che prevedono una validità di sole 48 ore per le certificazioni sanitarie “Covid free” e i tempi “tecnici” ineludibili fra esecuzione del tampone, refertazione e volo. Con pochissimi voli disponibili e frequenti cancellazioni o ritardi, è risultato impossibile rientrare in quella manciata di ore, cosicché è stato necessario l’intervento del prefetto per riuscire, in deroga, a portare a 72 ore la validità della certificazione sanitaria posto tampone.

Così, finalmente, il Comitato di Welfare è riuscito a rimpatriare lo scorso fine settimana, con due voli, l’equipaggio della Gobustan, e conta di riportare a casa entro fine mese anche quello della Sultan Bey. L’annuncio arriva dallo stesso Cordone: «Con immensa gioia e soddisfazione, confermiamo che tutti i 12 marittimi della Gobustan sabato e domenica si sono imbarcati a Milano per il rimpatrio nei loro paesi di origine, destinazione Baku (9 marittimi), Odessa (uno), Astrakhan (uno) Rostov (uno)».

Il presidente tiene a sottolineare «il clima di forte collaborazione che esiste nel nostro porto tra istituzioni e privati e la capacità di fare squadra di fronte a queste emergenze umanitarie. Gli occhi lucidi di questi uomini che finalmente potevano rientrare a casa – conclude – mi hanno enormemente emozionato e ripagato del tanto lavoro fatto in questi ultimi mesi».

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