Ragazzi “prigionieri” in casa. A Forlì sono 27, casi in aumento

Forlì

FORLÌ. In disparte, rifiutando il mondo esterno con il quale l’unico contatto resta un monitor. Chiusi in una stanza senza più volerne uscire. A volte per mesi, spesso per anni. Niente amici, difficoltà anche a interagire con i genitori. Sono gli hikikomori, ragazzi vittime di un doloroso (anche per le famiglie) ritiro sociale che passa anche dall’abbandono scolastico. Un disagio sociale che sbagliando viene collegato alla diffusione della tecnologia che invece diventa l’unica via per mantenere un contatto con il resto della società. Perché?

Quasi sempre non si sentono all’altezza delle aspettative e per questo provano vergogna e disagio. Sono intelligenti, a volte sopra la media, con una sensibilità accentuata, con profili scolastici invidiabili. Fino a quando la luce si spegne.
Il fenomeno è stato registrato per la prima volta in Giappone negli anni ’90 ma i casi sono in aumento anche in Italia. Emilia-Romagna compresa. E Forlì purtroppo non si salva.

La fotografia locale

I numeri, innanzitutto. A raccoglierli è stato l’Ufficio scolastico regionale. In città i ragazzi “hikikomori” sono almeno 27. Almeno perché questi sono i casi venuti a galla. Ma chi affronta quotidianamente questa difficile dimensione per cercare di dare un sostegno è convinto che siano anche di più.
La mappatura è stata fatta su 687 scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado che hanno risposto a un questionario on line. L’età media rilevata oscilla tra i 13 e i 16 anni, ma compaiono anche bambini di 6 anni: 27, appunto, i casi in provincia di Forlì-Cesena, 24 a Ravenna e 32 a Rimini.
«Purtroppo c’è un aumento dei casi», spiega la dottoressa Antonella Rogai, coordinatrice del gruppo genitori hikikomori della provincia di Forlì-Cesena che a cadenza fissa tiene incontri con una psicologa per dare sostegno alle famiglie ma anche per far conoscere questo fenomeno.

La conoscenza

È a questo che punterà il corso di formazione per docenti che partirà a Forlì il prossimo 23 gennaio. La sede sarà l’istituto tecnico Marconi. È la prima volta in Italia che un Provveditorato giuda un’iniziativa sul tema alla quale parteciperanno decine di professori. Sette lezioni con docenti, psicologi ed esperti del settore. A sostenere l’iniziativa è il Rotary Club Tre Valli. I primi appuntamenti vedranno in cattedra Marco Crepaldi (presidente dell’Associazione Hikikomori Italia) ed Elena Maria Carolei (presidente dell’Associazione Hikikomori Italia Genitori Onlus).

«Siamo entrati in un’epoca in cui i giovani esprimono il disagio sociale non come in passato, ad esempio con la droga, ma rifugiandosi nella propria casa - continua Antonella Rogai -. Questo scatena peraltro un giudizio pesante verso i ragazzi e verso le famiglie di queste persone. Con banalità che non funzionano. Purtroppo in questi anni, prima che fosse proposta una lettura sociologica prima ancora che clinica, si rubricava il fenomeno rubricato in molte altre forme, a partire dalla depressione fino alla fobia scolastica».
Lo sviluppo del disagio è complesso e a stadi. Il primo: i ragazzi vogliono uscire e andare a scuola ma questo costa una fatica emotiva enorme. «Il secondo stadio comporta l’abbandono dei luoghi sociali, come la scuola, e il rifugio in casa. I ragazzi allora ricercano la socialità su un pian virtuale, attraverso il web. Il terzo è veramente pericoloso: si perde anche ogni connessione con i familiari, si lascia anche la rete. I ragazzi diventano a rischio di psicopatologia. Purtroppo ne abbiamo visti un paio così. Una ragazza viveva solo al buio, in camera sua». g.b.

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