Quanta “America” di Kafka nell’“Intervista” di Fellini

RIMINI. Racconta Vincenzo Mollica che uno dei sogni di cui gli parlò un giorno Federico Fellini – era il 1992, quando già cominciavano a manifestarsi i «primi segni della malattia che lo avrebbe portato alla fine della vita» – aveva a che fare con Franz Kafka. «Una sera in un ristorante disegnò quel sogno: Fellini di spalle davanti a una buca delle lettere, ci scrisse anche Disperso Dei Dispersi, citazione dell’amato Kafka». Quel disegno restò sul tovagliolo del ristorante: non piaceva a nessuno dei due.
Il Disperso è uno dei titoli con i quali si fa riferimento al romanzo incompiuto dello scrittore praghese, più noto come America (“Il fochista”, in origine). È il libro che Federico Fellini mette in scena, a modo suo, in uno dei suoi ultimi film: Intervista (1987).
Lo aveva del resto ben analizzato il compianto Paolo Fabbri in un fondamentale saggio su “La Saraghina tra Picasso e Kafka”: Intervista, sostiene il semiologo, può ben considerarsi una «trasposizione realizzata e non solo tentata» di America di Kafka. Fellini nel suo film si concentra, almeno sul piano della trasposizione esplicita, soprattutto intorno al personaggio di Brunelda, «il gioiello erotico di America, che ha incantato Fellini», come ci rivela lo scrittore e saggista Milan Kundera. Chi è Brunelda? Una ex cantante, di cui Kafka dà una «descrizione di laida grassezza» osserva ancora Kundera. Ma è qui il punto, la novità letteraria: «Il fatto che sia attraente: morbosamente attraente, ridicolmente attraente, ma pur sempre attraente. Brunelda è un mostro di sessualità al confine tra il ripugnante e l’eccitante». Insomma, diciamolo pure: una Saraghina ante litteram.
Nel film Intervista il personaggio di Brunelda si materializza nella sequenza dei provini per il film su America: «Ed appaiono queste donne abbondanti, carnose» ricorda Gianfranco Angelucci, amico e collaboratore di Fellini, che lavorò alla sceneggiatura del penultimo film del Maestro riminese.
La sequenza è una delle parti finali del film che Federico Fellini realizza dopo Ginger e Fred e dove mette anche se stesso in scena, davanti alla macchina da presa. È il film che racconta Cinecittà, per Fellini una seconda casa (o forse la prima), nel cinquantenario della sua fondazione. Un intreccio di piani, tra presente e passato, dove la finzione si eleva al quadrato, con il presente rappresentato dall’intervista che una troupe televisiva giapponese vuole fare a Fellini mentre sta preparando il suo nuovo film tratto dal romanzo di Kafka. Per un film da fare servono attori e attrici: quale attrice per il personaggio di Brunelda? Le aspiranti assediano la cittadella del cinema, gli uffici della produzione. «Forse la più giusta era la Ekberg, ma non glielo ha chiesto», mormora qualcuno della troupe prima della sequenza dei provini. La Ekberg, l’Anitona, è anche lei infatti nel film: ed è una delle più memorabili e celebri la sequenza realizzata per Intervista nella sua villa fuori Roma, dove l’attrice svedese, la dea de La dolce vita, invecchiata e ingrassata rievoca la scena della fontana di Trevi insieme ad un altrettanto invecchiato Marcello Mastroianni vestito come Mandrake. «Proprio quando Fellini sembra parlar di sé sta realizzando Kafka», ci avverte Paolo Fabbri a proposito di questa grande “partitura” filmica. E allora Brunelda c’è in Intervista: ed è nelle fattezze della Ekberg l’interprete più giusta, anche se Fellini non glielo aveva chiesto. Il resto è finzione, è (ancora) cinema: le attrici grassone che provano la parte di Brunelda, il set che si anima, prima dell’interruzione per un temporale. «Poi è il film stesso che ti guida in un’altra direzione», dice a un certo punto una voce fuori campo. Un film straordinario: presentato fuori concorso al Festival di Cannes, la giuria presieduta da Yves Montand, informa il biografo di Fellini Tullio Kezich, si inventa un Premio apposito, mentre dal Festival di Mosca arriva ancora un Gran Premio dalla giuria (presieduta da Roberto De Niro). Solo in Italia la pellicola arranca.
Angelucci, perché Fellini gira “Intervista”?
«Il film è innanzitutto una dichiarazione d’amore di Fellini per il cinema: un amore vero, totalizzante. All’epoca seguiva la sua idea di un nuovo ciclo cinematografico, di cui dovevano fare parte altri film che poi non sono stati mai realizzati: uno su l’attore, sull’opera lirica, su Napoli, Venezia, poi c’era il progetto l’Olimpo e quello su America di Kafka, un romanzo che lo scrittore praghese scrisse senza essere mai stato in America».
A un certo punto nel film l’intervistatrice giapponese chiede a Fellini: «Girerà in America, “America” di Kafka?». Un momento che suona divertente, ironico, beffardo. Perché Fellini sceglie Kafka e proprio quel romanzo?
«Fellini aveva ricevuto molte proposte di fare un film negli Stati Uniti ma aveva sempre scartato l’ipotesi: “Non posso fare un film in una lingua che non conosco”, diceva. Sentiva una affinità con America di Kafka proprio perché è un racconto che passa attraverso la visionarietà dello scrittore praghese. Kafka era un autore che Fellini aveva scoperto da ragazzo, quando lavorava alla rivista satirica Marc’Aurelio. Marcello Marchesi gli aveva prestato La metamorfosi e lui ne era rimasto fulminato».
Tornando a “Intervista”, come accadde che lei ne scrisse la sceneggiatura?
«Federico pensava di raccontare Cinecittà ricorrendo ai propri ricordi, però aveva chiesto a me di scrivergli un trattamento, per avere anche una versione come la vedevo io. La sua idea era quella di fare vedere il cantiere, il laboratorio del regista, il cinema nella sua complessità e divertimento, il suo lato circense e nomade, fatto anche di improvvisazione. Non un cinema legato a una sceneggiatura di ferro, vincolante, sul modello Stati Uniti, ma una sceneggiatura canovaccio. Credo abbia individuato in me una sorta di sceneggiatore prêt-à- porter: qualcuno che sul set fosse in grado di scrivere una scena sul momento, un po’ come lui aveva fatto a suo tempo con Rossellini, sul set di Paisà. Era la sua idea di cinema in diretta, come i circensi che riescono a fare spettacolo persino montando il tendone, lo chapiteau, uno spettacolo dello spettacolo».
News
Ancora un documentario intorno a Fellini. L’11 settembre arriva alla Mostra del cinema di Venezia, fuori concorso, La verità su La dolce vita, docufilm di Giuseppe Pedersoli che per la prima volta con documenti inediti svela la genesi e le avventure di uno dei capitoli immortali della storia del cinema. Il film si basa sulla copiosissima, originale e inedita corrispondenza tra Giuseppe Amato, Angelo Rizzoli e Federico Fellini, rispettivamente produttore, distributore e regista de La dolce vita.
Ultimo giorno utile quello di oggi, invece, per vedere sul grande schermo, anche in Romagna, Fellini degli spiriti, il documentario di Anselma Dell’Olio presentato in anteprima nazionale domenica scorsa all’Arena Lido di Rimini.
Ma le novità per il Centenario felliniano non sono finite: è infatti in lavorazione un nuovo progetto, un docufilm in questo caso, che indaga il rapporto, la fascinazione, di Federico Fellini per Jung e per la psicoanalisi junghiana. Si intitolerà Fellini e l’ombra. Prodotto da Verdiana srl e Célestes Images, con Mibact e Istituto Luce – Cinecittà, è diretto da Catherine McGilvray.

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