Quando i litigi per strada si risolvevano a frustate

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Con l’arrivo degli anni Sessanta dell’Ottocento, Rimini avverte l’esigenza di regolamentare il traffico della via Principe Umberto (oggi Giovanni XXIII). Nella stagione dei bagni l’arteria, pur grande e rettilinea, comincia a non reggere più il viavai di persone e veicoli – con o senza animali – che procede in direzione dello Stabilimento balneare. Nel tentativo di alleggerire la circolazione su quel tratto di carreggiata, nell’estate del 1865 il Municipio istituisce il transito a senso unico: le vetture e i mezzi di trasporto che marciano in direzione del mare sono obbligati a «battere» – specifica l’ordinanza del sindaco – il corso Umberto, mentre quelli che ritornano in città devono procedere per le vie Gambalunga e Clodia (Regolamento di Polizia Urbana del 9 settembre 1864). Contemporaneamente all’istituzione del senso unico, primo nella storia della città, si dettano anche le disposizioni per i parcheggi: i carri e le bestie, d’ora in avanti, non potranno più essere abbandonati per strada.

Nonostante la normativa – con il suo carico di sanzioni per i trasgressori –, il problema del traffico non si risolve. Le vetture continuano ad essere indisciplinate e a creare ostacoli alla viabilità provocando ingorghi, ostruzioni e non pochi incidenti: cavalli imbizzarriti che se ne vanno a briglie sciolte lungo il percorso, derrate alimentari che stramazzano a terra e soprattutto litigi tra vetturali con urla, imprecazioni e... colpi di frusta.

Una di queste scene di ordinaria follia ce la racconta il settimanale La Riscossa del 31 luglio 1890: «Due vetturini, certi Socrate Brolli e Luigi Pozzi litigando fra loro lungo la via Bagni discesero dalla carrozza e cominciarono a percuotersi colla frusta. Il Brolli riportò delle lievi ferite ed una guardia di Polizia Urbana, trovandosi poco lontana, li dichiarò tutti e due in contravvenzione perché avevano abbandonato le loro vetture sulla pubblica via».

L’episodio di cronaca, uno dei tanti che ha per protagonisti i cocchieri, ci consente di allargare il tiro sulla circolazione stradale cittadina nei primi anni del Novecento, decisamente disordinata e incontrollata.

Cominciamo dalle biciclette e dal fastidio che procurano ai pedoni. «Biciclettisti, attenti! – brontola il 30 maggio 1896 il settimanale cattolico L’Ausa – Non passa giorno senza che avvenga qualche disgrazia e ... capitombolo. Ora è un bambino investito, ora un pover’uomo che va diritto per la sua strada. Non sarebbe meglio che gli amanti di ... volate senza pavoneggiarsi tanto guardassero piuttosto di non molestare la povera gente che va a piedi? Sorvegliare a chi tocca?». Già, a chi tocca sorvegliare? Il compito spetta ai «tutori dell’ordine», ma questi – anche per scarsità numerica – sono sempre «uccel di bosco».

Ben più pericolosi delle biciclette sono i barrocci delle derrate alimentari ed in particolare quelli della Brauerei Spiess. A partire dal 1906, con l’insediamento nei pressi della Stazione ferroviaria dello Stabilimento della birra, inizia a circolare per la città una marea di carri adibiti al trasporto. L’alta velocità di questi carrozzoni provoca una sequela di incidenti che mandano su tutte le furie la popolazione. La Riscossa del 6 agosto 1910 dà notizia di un episodio che solo per un miracolo non assume gli aspetti della tragedia: «Giovedì 28 u.s., alle ore 13, mentre il carro della Birra Spiess facente servizio per la distribuzione del ghiaccio transitava per la via Trai, in prossimità della via litoranea, si imbizzarriva improvvisamente il cavallo dandosi a precipitosa fuga lungo la stessa via trainando con sé il pesante carro con grave pericolo dei passanti...».

Tutto questo fa parte della solita routine quotidiana, ma poi ci sono i giorni di mercato. Il mercoledì e il sabato il movimento delle vetture è incontenibile ed eccessivamente caotico. Con le bancarelle che invadono la piazza Giulio Cesare (oggi Tre Martiri), la viabilità del corso d’Augusto e delle strade limitrofi è letteralmente impossibile. Ai furgoni e ai calessi si aggiungono le biciclette, le motociclette e persino le automobili. Intorno alla fine degli anni Dieci l’accozzaglia di veicoli è talmente scombinata che qualcuno avanza l’ipotesi di istituire addirittura un’“isola pedonale”; in mancanza di questa, c’è chi invoca più rigore nell’applicazione delle norme di circolazione. Queste, per evitare al traffico extra urbano la strettoia della strada Maestra (corso d’Augusto), impongono l’utilizzo della Circonvallazione, una «disposizione» istituita addirittura alla fine degli anni Trenta dell’Ottocento ma che nessuno rispetta. Il motivo? Manca chi, codice alla mano, provveda a stilare pene pecuniarie. Scrive Germinal, periodico socialista, il 23 agosto 1919: «Il transito di quel tratto del corso d’Augusto che va da piazza Giulio Cesare a piazza Cavour è davvero impossibile sia per l’eccessivo agglomerato di persone, che specialmente nei giorni di mercato ostacolano il passaggio, sia per l’andirivieni continuo di veicoli d’ogni genere».

Negli anni Venti su questo tragitto si insediano addirittura i binari del tram elettrico e il mastodontico carrozzone pubblico, che dalla piazza Cavour raggiungerà l’affollata piazza Giulio Cesare e viceversa, non farà che aumentare l’intasamento. Un po’ di respiro, si avrà a partire dagli anni Trenta, quando il mercato traslocherà nell’ex caserma di San Francesco. Ma poi, con l’aumento sempre più frenetico della motorizzazione, tutto tornerà come prima, se non peggio. E s’imporranno prima i semafori e poi i divieti di transito.

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