Pupi Avati ricorda Ugo Tognazzi nel centenario della nascita

Il nome di battaglia è “la gambina maledetta”, all’anagrafe (cinematografica) barone Anteo Pellacani: rampollo di un’antica casata del paese di Bagnacavallo, rimasto zoppo in seguito ad una caduta dal fico del giardino di casa – un fico dei miracoli in base ad antica leggenda locale –, cinico, miscredente, prepotente e incline alla parolaccia. Ci vuol poco a vederci anche i tratti del fascista d’epoca post bellica. È una delle maschere meno note di Ugo Tognazzi, l’attore annoverato tra i “quattro moschettieri” della commedia all’italiana (con Gassman, Sordi e Manfredi), di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita: era nato il 23 marzo 1922 a Cremona. Morì a Roma il 27 ottobre 1990. Aveva all’attivo almeno 150 film, una carriera anche televisiva in cui spiccano gli sketch con l’amico Raimondo Vianello; e poi teatro, radio, sport. Fu protagonista dei gossip mondani, e celebre per il suo amore, in tutti i sensi, per la cucina.

Ugo Tognazzi fu il barone Anteo Pellacani nel 1975. Il film era La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone, ambientato e girato a Bagnacavallo (e a Cento, nel ferrarese). Regista il bolognese Pupi Avati. L’attore aveva 53 anni, Avati 37. Dopo essere stato rappresentante dei surgelati Findus, Avati aveva scelto la strada del cinema. Ma le prime pellicole (Balsamus, l’uomo di Satana e Thomas e gli indemoniati) erano state dei fiaschi. «Per me la realizzazione del film La mazurka del barone fu una specie di miracolo e debbo a Tognazzi la mia resurrezione» afferma oggi Avati senza mezzi termini.

Avati, ci racconta la genesi del film? E come è avvenuto il coinvolgimento di Tognazzi?

«Venivo da quattro anni di disoccupazione. Mi ero trasferito a Roma per fare cinema perché i due film che avevo fatto a Bologna erano andati molto male. Del tutto incidentalmente Tognazzi lesse la mia sceneggiatura. Era uno degli attori più pagati in quel periodo e una grande star. Aveva appena fatto Amici miei e Romanzo popolare. Ebbi quindi la possibilità di lavorare con un attore molto famoso».

Inizialmente però la parte del barone era stata pensata per Paolo Villaggio.

«Esatto. Lasciai il copione a casa di Tognazzi a Torvaianica, dove ero andato per inseguire Villaggio che era recalcitrante. Per sbaglio la moglie di Tognazzi lo mise nella valigia del marito e lui mi chiamò da Parigi. A quel punto anche Villaggio decise di entrare nel film (dove fece la parte di Checco Coniglio, biondo pappone di due prostitute, l’una bionda e l’altra africana, ndr)».

Come nasce il soggetto de “La mazurka”?

«Da una sorta di miracolo vissuto in famiglia. Una mia zia che soffriva di un male incurabile, a letto da 14 anni, stava spegnendosi quando per un’acqua miracolosa portata da Lourdes disse di aver visto la Madonna. Ricominciò a mangiare e si riprese. Mi ricordavo la divisione che si era creata in paese, a Sasso Marconi, tra chi credeva e chi non credeva al miracolo, e pensai che era carino farne una commedia con una prostituta scambiata per una santa. E così scrissi il soggetto».

Come fu lavorare con Tognazzi?

«Il rapporto fu eccezionale. Era molto protettivo nei miei confronti e io molto intimorito da lui. Alla fine di ogni ciak dicevo “grazie”»

Perché la scelta di ambientare il film a Bagnacavallo?

«Scelsi Bagnacavallo e la Romagna perché è una zona dove gli eccessi trovano ospitalità, almeno nell’idea che ho io della Romagna. Io sono un mancato romagnolo: sono un emiliano ma avrei voluto essere romagnolo. Vi ho sempre visti come degli esseri un po’ portati a qualcosa in più, di una schiettezza, franchezza, spontaneità superiore agli emiliani che sono strategici, grandi mediatori. E poi ci sono molti più matti di paese in Romagna».

Ma perché proprio Bagnacavallo?

«Mi piaceva il nome e poi ci andavo quando vendevo i prodotti Findus e c’era una trattoria che mi piaceva molto».

Com’erano Tognazzi e Villaggio sul set?

«Il loro rapporto fu straordinario perché erano molto amici. Stavano sempre insieme, andavano in bicicletta nelle trattorie. Una volta andarono in una trattoria di campagna che in paese molti chiamavano “la smerdazza” e mangiarono 18 uova fritte in padella con la cipolla. E naturalmente bevvero del gran vino. Alla fine si addormentarono su un divanetto uno accanto all’altro e tutto il paese si mise a sfilare davanti alla finestra per vedere Tognazzi e Villaggio a bocca aperta addormentati. Il clima anche sul set era molto gioioso».

Un altro personaggio con una parte nel film è Lucio Dalla

«Con lui avevo suonato per molti anni e mi era venuto in mente per il personaggio di Fava il segantino che deve venire a segare l’albero. Era già una star all’epoca. Si divertì molto a venire a fare le riprese che per lui durarono due giorni».

I dialoghi del film sono a dir poco scurrili…

«Allora era di moda. Quasi tutti erano fatti al leggìo: si girava con macchine da presa molto rumorose per cui i film venivano poi doppiati e succedeva che gli attori aggiungessero sempre delle cose».

Ha più rivisto “La mazurka”?

«Lo rividi per il trentennale a Cervia e poi a Cento, dove fu proiettato in piazza e potei dormire nella villa dove avevamo girato il film, villa Minelli. Ma è un tipo di cinema che non saprei più fare, molto distante da quello che ho fatto in seguito».

Con Tognazzi però rimase amico per tutta la vita.

«Sì, e come ho detto, a lui devo moltissimo. Negli ultimi anni, quando le cose per me hanno cominciato ad andare meglio e a lui non tanto, lo chiamai a fare il film Ultimo minuto».

Del suo cinema cosa ama di più?

«Il Tognazzi che preferisco ricordare è il ruolo nel film di Pietrangeli Io la conoscevo bene per il quale vinse il Nastro d’argento: è la cosa più bella che ha fatto nella sua vita».

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