Pulini: «Quando si fa il buio attorno c’è chi sa guardare nell’ombra»

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MONTIANO. Periodi di ritiro sono peculiari alla vita di un artista. L’invito a restare in casa non sembra perciò limitare più di tanto Massimo Pulini (1958), artista, docente, storico dell’arte, scrittore (Il Sassoferrato, Guido Reni, Mal’occhio, Caravaggio nero fumo…), per sette anni anche assessore alle Arti del Comune di Rimini.
Dalle colline di Montiano, dove è salito dalla sua Cesena più di trent’anni fa, Pulini utilizza questo «esilio casalingo» per dipingere, tenere video lezioni ai suoi studenti dell’Accademia di Bologna, riprendere lavori lasciati nel cassetto, realizzare video; in uno racconta di pittori romagnoli mentre sta dipingendo un’opera che prosegue una sua ricerca sugli alfabeti.
«Sono un pittore che scrive – confida –, ciò mi ha portato a riflettere su altri pittori. Scrivere è un bisogno di risarcire ciò che il tempo ha tolto ad alcune figure di artisti, legati anche alla mia terra».
Gli artisti di cui racconta nel video, cesenati come lei, sono i seicenteschi Gian Battista Razzani (1603-1666), Cristoforo Serra (1600- 1689), Cristoforo Savolini (1639-1677). Li sta forse riunendo in una pubblicazione?
«Sì, sto scrivendo un libro dopo aver ripreso un racconto lasciato nel cassetto. L’ho concepito come tre monografie in cui inserisco tutto quanto conosco di Razzani, Serra e Savolini. Cerco di ricostruirne la vicenda complessiva aggiungendo inediti, cose poco conosciute, mai raccontate. Non conosco i tempi di pubblicazione, devo ancora trovare un editore, ma non ho fretta».
Nel 2004 a Cesena la mostra “Storie barocche” portò sulla ribalta anche questi tre artisti.
«Lo ricordo; la curò Marina Cellini, storica dell’arte, ma buona parte delle ricerche le avevamo fatte insieme. Collaborai anche alle attribuzioni, ma non partecipai direttamente alla realizzazione dell’evento. Poi negli anni ho cominciato a scrivere e, dopo avere lasciato l’impegno a Rimini, ho pensato di riaprire il cassetto».
La pittura del Seicento è fra le sue predilette come tanti studi sul Guercino confermano. Quali caratteristiche racchiudono questi tre pregevoli cesenati che è tornato ad approfondire?
«Sono tre pittori diversi. Razzani, che si formò a Milano, è un tardo manierista, un “mestierante” se vogliamo. Serra invece fu un nobile atipico, uno scapestrato. Diceva che dipingeva “per diletto”, in realtà era un diletto morale, perché fu uno sperimentatore, un maestro dall’atteggiamento maieutico, cosa che si evince da ciò che ha saputo trasmettere al suo allievo Savolini. Quest’ultimo, che morì a soli 37 anni per un incidente a cavallo, dei tre è il più talentuoso sul fronte della qualità pittorica, un purosangue che non trova eguali nella nostra regione, nella seconda parte del secolo. L’aveva già intuito il critico Francesco Arcangeli (1915- 1974)».
Si potrebbero riunire in una scuola cesenate del tempo?
«Non proprio una scuola come quelle di Guercino e Reni che quasi rasentavano l’industria. Serra e Savolini, a cui aggiungerei anche Mainardi, altro allievo di Serra, di cui però si conoscono pochissimi quadri, sono comunque identificabili in una stessa matrice tardo-guercinesca. Serra, che fu allievo di Guercino in età giovanile, con lui a Roma nel 1623, periodo cruciale per l’artista di Cento, portò avanti uno stile molto vicino a quello giovanile di Guercino. Quasi ricordando allo stesso Guercino ciò che il maestro aveva a un certo punto abbandonato; e lo trasmette a Savolini, che nasce quasi 40 anni dopo. È dunque doveroso, anche alla luce di nuove conferme inedite, rendere loro lo spazio che si meritano».
In futuro si potranno ammirare le loro opere nel Museo della Città di Cesena.
«In effetti questa mia ricerca è in tema, considerando che la collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio Cesena – Crédit Agricole vanta opere di tutti e tre che troveranno spazio nel nascituro museo».
Il fascino verso artisti seicenteschi ha contagiato il suo dipingere?
«Mi sento fortemente influenzato da figure come Serra, Savolini, Cagnacci, Centino, Cantarini, figure che ho studiato intensamente e che mi hanno lasciato delle parti di loro. Ma la mia particolarità, essere sia pittore che ricercatore storico, crea una anomalia che non è facilmente riscontrabile».
È pittore scrivente ma anche docente e critico, cosa in lei prevale?
«Non c’è separazione, fin dall’inizio del mio lavoro di pittore parlavo di una pittura saggistica, come se attraverso il pennello cercassi di fare piccoli saggi di storia dell’arte, costruendo opere che diventavano dialoghi tra altri pittori. È una cosa connaturata e sono contento che sia così».
Scrivere non è dunque un limite al suo dipingere?
«Sì, è un condizionamento della mia fase creativa, in quanto espressione innamorata della storia e della memoria, al punto da rimanere anche un po’ irretita come creatività, ma non mi preoccupa. Credo si possa fare il nuovo anche guardando e mettendo sul tavolo la memoria».
Cosa sta insegnando, da casa, ai suoi studenti?
«Qualche giorno fa ho fatto una lezione sulla salvaguardia delle opere d’arte in tempo di guerra. Ho mostrato mirabili immagini di protezioni di opere d’arte realizzate nella Prima guerra mondiale. Tombe momentanee fatte di sacchi di sabbia, di coperte imbottite di alghe marine, straordinarie anche dal punto di vista estetico, perché il Genio civile lavorò a contatto con gli storici dell’arte. Protezioni che però, già nella Seconda guerra, non si fecero più. Ne scrissi nel mio libro La coperta del tempo; ho voluto riprendere l’argomento per riflettere con i miei studenti sul rapporto tra arte e guerra, tra arte e limite».
I limiti di questi giorni cosa possono offrire al mondo dell’arte?
«Come scrive Mariangela Gualtieri della Valdoca nella sua poesia “Nove marzo duemilaventi”, se si interpreta questo tempo nel modo giusto si possono trovare anche dei “doni”. Il mondo artistico deve perciò trovare un’occasione per riflettere, per condurre tematiche dell’arte a una dimensione più vasta e universale di quanto non siano quelle virgole che hanno invece intrattenuto il Novecento su certi artisti. A volte ci si è occupati dei bordi, di “frantumaglie”, come dice Elena Ferrante; questo momento, che è più grande di noi, forse ci può far pensare ad argomenti da immettere nell’arte che siano più vasti e profondi».
Quindi, come si dice, è in tempi difficili che l’artista dà il meglio di sé.
«La costrizione che stiamo vivendo sta generando creatività e tentativi alternativi non solo negli artisti, ma in tutti, spinge a produrre cose in reazione a quanto si sta vivendo. Forse, tornando al testo di Mariangela, si comprende come certuni siano scrutatori dell’anima, vedette di molti. Quando si fa il buio attorno, c’è insomma qualcuno che ha già la capacità di guardare nell’ombra».

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