"Pronto soccorso di Forlì in sofferenza, serve più personale"

Forlì

FORLI'. L’emergenza Covid si è attenuata negli ultimi mesi ma il lavoro degli operatori sanitari del Pronto soccorso resta gravoso. L’allerta sanitaria è comunque alta e l’organizzazione rimane più complessa rispetto alla normalità. E se in periodo di lockdown il pronto soccorso era praticamente vuoto, ore il flusso di pazienti è quasi tornato ai livelli di prima. A illustrare la situazione è il direttore dell’Unità operativa Pronto Soccorso-Medicina d’urgenza, Andrea Fabbri.
Gli accessi in ps sono aumentati? E come sono organizzati attualmente?
«Ogni settimana cambia la situazione in funzione dell’epidemiologia del problema, oggi ci sono pochissimi casi di Covid-19, il problema è che dobbiamo comunque tenere in piedi due gestioni parallele nel caso ci fossero casi di rimbalzo (pazienti dall’estero o casi particolari) e questo costa tanta fatica in termini di organizzazione del personale. Per quanto riguarda gli accessi normali, nella fase acuta di emergenza erano calati con circa 40 accessi giornalieri, ora siamo ritornati ad un livello pari all’80-90 percento degli accessi che si registravano prima. In sostanza, prima del Covid avevamo 150-160 accessi al giorno, poi con l’emergenza erano calati a una quarantina, attualmente siamo a circa 130».


Quindi il pronto soccorso è di nuovo affollato ma con una gestione più complessa?
«Dobbiamo essere comunque pronti ad attivarci per i casi di Covid e la gestione delle sale d’attesa è cambiata: i familiari non possono più accedere e fuori si crea una sorta di accampamento di persone, questo è un ulteriore problema a cui dover trovare soluzione. Tutti i servizi in ospedale devono essere gestiti con questa logica, tutto va programmato nel rispetto delle nome anti Covid quindi i tempi di risposta sono più lunghi. Le prestazioni sono più articolate quindi trattiamo circa il 50% in meno di persone, nello stesso tempo, rispetto a prima».
Come si continua a gestire un’organizzazione così complessa dopo quattro mesi passati in trincea per l’emergenza?
«Serve più personale, in questi quattro mesi abbiamo versato lacrime e sangue, adesso è possibile fare le ferie estive, ma servono rinforzi. Gli operatori sanitari sono stanchi, non ne possono più. Viviamo uno stress post traumatico dopo l’emergenza, il personale è sempre quello di prima e se si considera che il nostro settore già da prima era sofferenza, i problemi ci sono. Va detto però che è un problema che riguarda tutto il territorio nazionale. Di fatto mancano le figure professionali adeguate».
Significa che scarseggiano i medici specializzati in medicina d’urgenza?
«La cosa più impellente è avere delle persone in grado di giocare con due schemi di giochi diversi che possano garantire un servizio adeguato, sia per gli operatori che per i pazienti. Io devo adeguare le soluzioni in base ai professionisti che mi danno, in Italia però non ci sono queste figure. I giovani medici non hanno la scuola di specializzazione per l’area di emergenza e il numero delle borse di studio è insufficiente per coprire le necessità. Servirebbe un provvedimento del Ministero che preveda di assumere persone non specialistiche alle quali garantire un percorso professionale, ovvero mentre lavori ti specializzi, questo adesso non è possibile. Con la nuova dirigenza dell’Ausl Romagna spero che una serie di problemi si possano comunque affrontare».
Nel complesso come giudica la situazione dell’ospedale di Forlì?
«L’ospedale di Forlì già prima del Covid aveva un’ottima organizzazione, è stato costruito con una concezione moderna, che si adegua meglio di altri alle modifiche, questo rende più facile dare risposte alle esigenze del momento. Dal punto di vista strutturale è funzionale e si adatta facilmente. La situazione non è peggiorata ma è certamente più complicata a causa dei percorsi differenziati e siccome non era semplice già prima gestire tutto, è chiaro che siamo più in sofferenza».

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