Profughi a Fontanelice, ma il figlio vuole andare in guerra

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Olga e Alberto hanno ceduto il loro letto matrimoniale a Victoria e Bordhan, e una delle stanze dei propri tre figli, mandati dai nonni, ai loro. Prima di una settimana fa non si conoscevano neanche, ora vivono in nove nella stessa piccola casa. È una storia di accoglienza di quelle che in questi giorni di guerra si sono moltiplicate, raccontata con semplicità eppure straordinaria.

L’incontro fra due famiglie

Olga Rybak è ucraina, vive in Italia da 10 anni, dove è arrivata per sposare quello che oggi è suo marito Alberto Ponti di Fontanelice, il figlio dell’ex sindaco del paese Athos Ponti. Victoria, Bordhan e i loro figli Oxana e Alexii si sono lasciati alle spalle la loro casa a Odessa con le bombe che cominciavano a cadere a poca distanza. Sono arrivati in auto, con poche cose, il gatto e un criceto. Si guardano intorno un po’ spaesati, grati per l’accoglienza ma visibilmente imbarazzati. A parlare inglese è Bordhan, la moglie Victoria sembra la più provata. La padrona di casa Olga fa da interprete per l’ucraino, la loro lingua comune, anche se, sottolinea: «Loro parlano russo fra di loro, come fa il 70% degli ucraini. Erano come imbarazzati per questo e si scusavano con me, ma li ho rassicurati, per me andrebbe bene anche se parlassero giapponese, siamo fratelli. Una decina di giorni fa avevo visto su Facebook il post di una volontaria ucraina di Imola Irina Knygnytska che dopo aver portato molti aiuti al confine (abbiamo raccontato la sua storia una settimana fa su queste pagine, ndr), al suo rientro aveva incontrato questa famiglia in un autogrill di Trieste. Avrebbero dormito lì in auto, non sapevano dove andare. Io e mio marito Alberto ci siamo solo guardati e abbiamo contattato Irina dando la nostra disponibilità ad accoglierli». Bordhan e la sua famiglia sono arrivati domenica notte alle 3, la famiglia Ponti ha fatto trovare loro i letti pronti ed è cominciata questa rispettosa convivenza inattesa.

Le bombe e la fuga

Chi fugge dalla guerra ha sempre una storia dura da raccontare, anche quando le bombe lo hanno fortunatamente solo sfiorato. Ha lasciato la sua casa con tutto quello che conteneva sperando di ritrovarla un giorno ancora intera, ha dovuto viaggiare a lungo, in questo caso incontrarsi a metà strada con un pezzo della famiglia, e lasciarne un altro pezzo là, dove c’è la guerra. In questo caso chi ospita e chi è profugo hanno in comune la preoccupazione per i parenti in Ucraina: là Olga ha il padre e il fratello, Victoria la madre e due fratelli, Bordhan la madre. Si sentono ogni giorno, più volte. Victoria parla ancora pochissimo, Olga dice che al suo arrivo è rimasta chiusa in camera un paio di giorni senza mangiare. A Odessa lavorava come trainer, esperta in pilates e chinesiterapia, fa vedere sul cellulare il palazzo dove abitavano e il fumo delle esplosioni alle spalle. Il marito, ingegnere capo, era imbarcato da tre mesi su una nave, era a Singapore e avrebbe dovuto restarci molti altri mesi, ma quando si è capito che la guerra stava per scoppiare ha cominciato un faticoso rientro per correre incontro alla sua famiglia. Mentre lui cercava di raggiungerli loro varcavano i confini dell’Ucraina fino a che sono riusciti a incontrarsi a Bucarest. Con una angoscia in più: il loro figlio più grande che proprio a cavallo dello scoppio del conflitto ha compiuto 18 anni, ha cominciato a dire che voleva tornare indietro. «Allora è stato necessario allontanarsi sempre di più dal confine ucraino, perché lui ha cercato di scappare più volte per tornare indietro e andare a combattere», dicono i genitori angosciati. Il padre ora custodisce gelosamente i passaporti.

Quotidianità difficile e aiuti

Per lui la preoccupazione è tanta, perché se la sorellina Oxana già da oggi andrà a scuola e frequenterà la prima media a Fontanelice, e molto probabilmente imparerà l’italiano e conoscerà nuovi amici, per suo fratello, che ora passa le notti on line a seguire le notizie sul conflitto, la smania cresce. «Di giorno segue le lezioni on line con la sua scuola a Odessa – spiegano i genitori – avrebbe voluto studiare ingegneria elettronica, ma adesso non sappiamo cosa farà». «Ora devo mettere al sicuro le persone per cui sono responsabile – è il primo pensiero di Bordhan adesso – tutto il resto viene dopo. Non so proprio se e quando potremo tornare ed è vero, avrò bisogno di lavorare, anche perché brucio di vergogna in questa situazione così inusuale per noi. Ci sentiamo obbligati verso questa famiglia che ci sta dando tanto». Intanto tutto il paese ha dato una mano: «Non abbiamo detto niente, ma qui le notizie girano in fretta ed è stato incredibile l’aiuto che è arrivato – racconta Athos Ponti, suocero di Olga e padre di Alberto –. Vestiti, quaderni e pennarelli per i ragazzi, di tutto. Sono state velocissime anche le istituzioni, il sindaco ci ha aiutati a trovare un appartamento per loro che potrebbe liberarsi a fine settimana e intanto ho fatto tutte le pratiche sanitarie e per i documenti perché possano avere lo stato di protezione riconosciuto dalla prefettura. È importante quando tutti fanno la loro parte. Ci si sente meno soli».

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