Processo alla 'ndrangheta e maxi-truffa allo Stato: coinvolto impiegato della filiale di Reggio Emilia di una banca di Cesena

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C’è anche un ex dipendente dell’estinta Cassa di Risparmio di Cesena, Giuseppe Fontana, che all’epoca dei fatti lavorava in una filiale di quella banca a Reggio Emilia, tra le persone finite nei guai per un’inchiesta che ha messo il naso anche dentro il mondo della ’ndrangheta, a caccia dei tentacoli che ha allungato sull’Emilia-Romagna. La lente degli inquirenti è stata puntata su una maxi truffa ai danni dello Stato.

Ma anche se ci fu, secondo il capo della cosca di Cutro trapiantata in Emilia, Nicolino Grande Aracri, non fu ordita dalla ’ndrangheta. Il caso è conosciuto come “Affare Oppido”: lo stacco di un assegno da parte del Ministero delle Infrastrutture staccò un ricco assegno a titolo di risarcimento per l'esproprio di un terreno, in realtà inesistente, di proprietà dell'azienda degli Oppido. Il tutto, sulla base di una falsa sentenza, in un grande inganno ordito con la compiacenza di un funzionario ministeriale e di suo nipote 48enne Fontana. Quest’ultimo, durante la testimonianza resa ieri davanti ai giudici a Reggio Emilia, ha tentato di discolparsi sulla vicenda per cui è stato condannato in secondo grado a 3 anni e 4 mesi di reclusione. Alla pm Beatrice Ronchi, sua grande accusatrice, ha detto di trovarsi «in un momento tragico» e ce l’ha coi collaboratori di giustizia, che hanno “dipinto” Domenico Oppido come un affilato al clan ’ndranghetista.

Nel merito della maxi truffa, datata 2010, quando Fontana lavorava in banca come consulente immobiliare («prima al Credem, poi sono passato alla Cassa di Risparmio di Cesena»), ha riferito che per lui l’aggancio-chiave era il napoletano 68enne Renato De Simone, anche lui già condannato. «È lo zio di mia moglie - ha spiegato Fontana - È molto rispettato in famiglia. Sapevo che come avvocato lavorava al Ministero e solo più avanti ho saputo che non era nemmeno avvocato. Mi contattò nel 2008, perché voleva fare un’operazione immobiliare al nord, prospettata come lecita, e mi pareva di aver capito che dietro ci fosse un pool di avvocati suoi colleghi, come investitori». Attraverso un compaesano di Castelnovo Sotto, Fontana, che ha riferito di averlo «incontrato la prima volta nel settembre 2009», mise in contatto De Simone con l’imprenditore edile Domenico Oppido per avviare l’operazione. «Sapevo che il bonifico (da oltre 2 milioni di euro, ndr) alla società di Oppido veniva direttamente dalla Banca d’Italia - ha raccontato - e non sospettai che potesse essere una cosa farlocca. Ma ad un certo punto Oppido non si trovava più e De Simone si era molto arrabbiato anche con me. Ho sicuramente sbagliato, perché pensavo che Oppido avesse truffato De Simone e quindi lo Stato, fregandosi i soldi; non pensavo che vi fosse alla base una sentenza falsa».

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