Primo Maggio e Liberazione, le nostre ipocrisie

“Bella Ciao” suonata nelle piazze deserte o cantata dalle finestre. Il suono struggente di un violino. Le note malinconiche di una fisarmonica. Milioni di visualizzazioni sui social. Commenti commossi. Lacrime. Ma davvero possiamo limitare la nostra adesione al 25 aprile solo a un like o a una condivisione su Facebook, a un’emozione… da poco? Oggi si celebra il Primo Maggio. Viviamo questi appuntamenti dimostrando che non siamo solo oggetti su cui far transitare delle emozioni (tra l’altro sfruttabili anche commercialmente). La storia è un cammino nel quale si può e si deve essere protagonisti. Non ha molto senso ricordare e celebrare il passato se non caliamo nel presente le lezioni che esso ci dà.

La lotta contro il fascismo, il diritto alla libertà, i diritti dei lavoratori sono temi che dovrebbero essere alla base del nostro vivere. E allora, chiediamoci cosa facciamo noi oggi per difendere questi valori? Cosa facciamo per impedire alle dittature di opprimere le persone? Cosa facciamo per difendere il diritto dei lavoratori a non essere sfruttati, a lavorare in condizioni umane, a essere retribuiti in maniera giusta, a non lavorare in nero?
La risposta è: poco, pochissimo. Quanti di noi nei loro acquisti sono attenti a non comprare prodotti (smartphone, computer, televisori…) realizzati in paesi dove non esiste la libertà di opinione, dove il lavoratore è costretto a faticare 14-15 ore al giorno (magari sette giorni su sette) con stipendi che in Italia sarebbero da fame? Non solo. Quanti di noi, pur comprando prodotti italiani, si informano di quali siano le modalità produttive di pomodori o mele, arance o insalata che finiscono sulla nostra tavola?
Da un lato versiamo lacrime di commozione sulle note di “Bella Ciao”, dall’altro nemmeno ci rendiamo conto di comprare prodotti agricoli che in certi casi sono cresciuti all’interno di una organizzazione basata sul caporalato. Da un lato urliamo il nostro essere antifascisti, il nostro essere dalla parte giusta, la nostra adesione alle battaglie dei lavoratori. Dall’altro acquistiamo e consumiamo arricchendo caporalato, dittature, aziende, Paesi dove la donna è “schiava”, imprenditori (piccoli e grandi) che hanno la sede in paradisi fiscali o che pagano metà in nero e metà in chiaro, come spesso succede col lavoro temporaneo o stagionale. Disegniamo il nostro mondo ideale convinti di esserci dentro mentre accanto a noi c’è chi lavora per due euro all’ora.
I valori celebrati con la Festa della Liberazione e quella del Primo Maggio non hanno senso se non sono considerati in maniera universale. Che senso avrebbe celebrare solo la mia libertà e solo il mio diritto ad avere un buono stipendio, tanti giorni di ferie, la tredicesima, il diritto alla malattia?
In secondo luogo dobbiamo anche essere consapevoli che in un mondo globale ogni venir meno di diritti in un’altra parte del mondo o del nostro Paese, rappresenta un grande pericolo per noi stessi. I diritti che vengono tolti agli altri poco alla volta saranno tolti anche a noi, ai nostri figli o nipoti. Ce ne rendiamo conto?
E allora, guardiamo al 25 aprile e al Primo Maggio con un occhio al passato ma anche con un occhio al nostro presente e al nostro futuro.

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