Prevenzione e diagnosi precoce per i tumori del collo dell’utero

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«Procedono senza chiusure gli screening oncologici per il tumore della cervice uterina - spiega la dottoressa Roberta Di Marsico, direttore del Centro di prevenzione oncologica di Ravenna, Lugo e Faenza - . Questo tumore, secondo i dati Aiom-Airtum (Associazione italiana di oncologia medica-Associazione italiana registri tumori) ha un’incidenza dell’1,3% rispetto a tutti i tumori femminili. In Emilia-Romagna il programma di screening per la prevenzione e la diagnosi precoce dei tumori del collo dell’utero è una realtà consolidata da più di 20 anni ed è alla base del costante calo dei nuovi casi e dei decessi. Nel 2019, sul nostro territorio, gli esami effettuati sono stati 14.774 e sono stati riscontrati 7 carcinomi invasivi e 44 lesioni in situ. Si tratta di numeri contenuti, ma che possono ancora diminuire grazie alla prevenzione». A partire dal 2006 la prevenzione del tumore del collo dell’utero si avvale anche della vaccinazione anti-Hpv. Questa neoplasia colpisce prevalentemente le giovani donne. «È il quinto tumore più frequente nelle donne sotto i 50 anni - specifica la dottoressa Maria De Nuzzo, referente ginecologa del Centro - e a cinque anni dalla diagnosi la sopravvivenza è del 68%». Nel 99 % dei casi, alla base di questo tumore, c’è un’infezione da papillomavirus. «Si tratta di un’infezione molto comune - continua De Nuzzo - e che riguarda circa l’88% delle donne. Infezione che nella maggior parte dei casi regredisce spontaneamente e solo in alcuni persiste, portando a lesioni precancerose e possibile successivo carcinoma. C’è molta confusione sull’argomento, perché molte donne quando ricevono un test per il papillomavirus (Hpv) che è positivo, si spaventano, ma questa positività non corrisponde a un tumore. L’infezione da papillomavirus è molto frequente e si trasmette per via sessuale. Vi è un rischio di contagio anche con rapporti non completi e la protezione con il condom non garantisce al 100% di non entrarne in contatto, a differenza delle altre infezioni sessualmente trasmesse. Il passaggio avviene attraverso il contatto delle mucose femminili con quelle cutanee dell’uomo». Numerosi i ceppi di papillomavirus, nella maggior parte asintomatici, tranne che per quelli che causano i condilomi acuminati. Dal 2016 il programma di screening cervicale è distinto in Hpv test e Pap test. «Le donne tra i 25 e i 29 anni vengono sottoposte al Pap test, ogni 3 anni; dai 30 ai 64 anni, invece, si somministra il test Hpv, ogni 5 anni. Quest’ultimo ha una sensibilità clinica molto elevata, pari al 98% (mentre la sensibilità dell’esame citologico si aggira intorno al 65-70%), ed è in grado di identificare le donne che hanno il rischio di sviluppare alterazioni che il Pap test non sarebbe in grado di individuare. Ma la specificità del Pap test è più elevata, ed è per questo motivo che, in caso di Hpv positivo, si effettua il Pap test, per evidenziare le eventuali anomalie a carico delle cellule. Un’infezione persistente da papillomavirus può portare a mutamenti cellulari che si possono trasformare in neoplasie, è un processo comunque lento. L’obiettivo dello screening cervicale è quindi intercettare quelle donne che possano avere cellule displastiche già presenti». In Italia la vaccinazione contro Hpv è offerta in modo attivo e gratuito dopo l’undicesimo compleanno sia per le femmine che i maschi. «Ciò significa - continua Di Marsico - che questo programma di vaccinazione consentirà un’ulteriore riduzione dell’incidenza di lesioni precancerose e quindi di tumori al collo dell’utero, fino ad arrivare tra circa 30 anni a debellare il virus stesso e a eradicare il tumore della cervice uterina». Si tratta di un test di screening ormai assodato. «In Emilia Romagna, dove viene effettuato dal 1996, c’è un’adesione al test del 65-70%. A Ravenna, nello specifico, è del 62%. Ciò vuol dire che la maggior parte delle donne si sottopone allo screening dopo aver ricevuto la lettera con l’appuntamento». Se il test di screening dà esito positivo, la donna viene avviata ad esami di approfondimento. «Si procede con la colposcopia- continua De Nuzzo -, si tratta di un esame di II livello, di natura visiva e poco invasivo, del collo dell’utero. Se la colposcopia è positiva si interviene con un prelievo (biopsia) e dopo la diagnosi istologica, si decide se intervenire chirurgicamente sulle lesioni da trattare, oppure se monitorare la situazione con follow up di controllo. Esiste un documento ufficiale ‘Le 100 domande sull’Hpv redatto dal Gisci (Gruppo italiano screening del cervicocarcinoma) che risponde a tutti i quesiti sull’argomento, ed è visionabile sul sito dell’Osservatorio nazionale screening». Lo screening si fonda su una presa in carico della donna. «Da quando arriva la lettera per sottoporsi all’esame, la donna viene seguita fino alla risoluzione definitiva del problema. Diagnosticare un tumore nella fase precoce significa garantire la guarigione».

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