Popolizio a Cesena con "La caduta di Troia"

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Fa tappa al chiostro di San Francesco, stasera alle 21.30, un attore di punta del teatro italiano. È Massimo Popolizio che torna a Cesena fresco di Nastro d’Argento per l’interpretazione ne “I predatori”, e fresco dei suoi primi 60 anni appena compiuti. Stasera è protagonista di La caduta di Troia dal Libro II dell’Eneide, che ha pure adattato, produzione della compagnia Umberto Orsini. Lo accompagnano le musiche dal vivo di Stefano Saletti sonorità etniche con strumenti tradizionali, al canto la bella voce di Barbara Eramo pure alle percussioni, e il musicista iraniano Pejman Tadayon.

Popolizio, a tre anni dalla riproposizione al Bonci, dopo quella del 2002, di “Copenaghen” di Michael Frayn, la ritroviamo in una mise en espace che ci riconduce a un mito senza tempo.

«In estate ci chiedono molte cose diverse, questa interpretazione a leggio ci consente di presentare un lavoro interessante per il pubblico facendo i conti con un sistema produttivo che non permette più di sostenere certi costi, tantomeno in estate».

Cosa l’ha spinta a rievocare la guerra di Troia?

«Una quindicina d’anni fa, ai fori di Traiano, presentammo due produzioni importanti in cui lessi l’intera Eneide e Iliade a puntate, per due settimane, con una band musicale numerosa e attori ospiti. Adattando quell’idea alle possibilità attuali ho scelto il libro della presa di Troia e dell’ingannevole cavallo, perché ha un appeal popolare e ci ricorda l’attualità; ci parla di una città distrutta, di chi diventa profugo nella propria città. Enea porta sulle spalle il padre Anchise e scappa da una Troia devastata. La descrizione di Virgilio sembra un campo della Siria, del Libano, fra morti in strada e donne seviziate. Mentre l’inganno del cavallo, che appare come un dono degli dei, contiene il virus di Ulisse e dei greci e porta la città allo sfacelo».

Con sole voci e musica create incantamento?

«Sì perché questo tipo di scrittura, come lo sono anche Iliade e Odissea, è fatta per essere detta ad alta voce, vive di più, arriva meglio, contiene pathos, thrilling. D’altra parte io non leggo, ma interpreto ciò che è scritto per farlo vedere. Con la musica e con le mie parole cerco di mostrare ogni inquadratura, primi piani e secondi, voci delle persone, campo lungo, campo dall’alto, come nel cinema. Perché l’Eneide è una super sceneggiatura ante litteram dal linguaggio estremamente cinematografico. Attraverso le parole faccio entrare nella tridimensionalità».

Azzardando un raffronto col teatro, questo virus porterà alla fine del sistema teatro?

«Direi che è già in corso, l’obbligo del contingentamento ridimensiona all’osso le compagnie; come si può presentare uno spettacolo importante con meno della metà di spettatori in sala? E poi bisogna convincere quei pochi a venire. Il teatro non è una pizzeria, ha bisogno di programmazione, di contratti. Oggi il teatro è fatto da ragazzi, da attori più o meno trentenni, a 40 euro al giorno di minimo sindacale. Gli interpreti importanti sono scomparsi dalle locandine, gli over 50 e 60 sono panda in via di estinzione per i costi. Siamo gente a cui piace andare a mangiare fuori, questa è la verità. Il teatro è un altro mestiere, ha bisogno di una promozione diversa da un menu, di modalità personalizzate, di cura capillare. È un inganno dire: riapriamo la cultura. La cultura va coltivata».

Nel teatro del momento prevalgono proposte autorali legate al presente, attori del territorio, gruppi cittadini che fanno teatro per passione.

«Mi domando dove porta questa parcellizzazione di cose piccole, mi chiedo se il teatro deve dare spazio all’espressione personale di tutti, o se è un servizio per i cittadini. Se tutti hanno diritto di esprimersi artisticamente, bisogna allora seguire i progetti degli attori locali? Ma se il teatro diventa un fatto regionale, perché i teatri si chiamano nazionali? L’espressione artistica che porto in scena non è quella di Popolizio, ma di Virgilio. Altrettanto il mio maestro Luca Ronconi metteva in scena un mondo artistico, non il suo desiderio personale».

Torniamo a lei, ci sveli come prosegue la sua stagione e perché nel cinema le affidano spesso ruoli da cattivo.

«Al cinema sono come Jessica Rabbit, mi disegnano così! La verità è che il cinema italiano lavora per stereotipi; se un film riesce bene e tu fai il cattivo, continueranno a offrirti quella parte. Qualche buono però l’ho fatto. A teatro debutterò al Piccolo di Milano nel gennaio 2022, almeno spero, con “M” di Antonio Scurati, grande produzione con 18 attori». Euro 15-12.

Info: 0547 355959


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