Pizzolante. L'isola delle rose

Editoriali

Ho visto l’Isola delle rose, l’isola che non c’è. Più. L’isola più piccola del mondo. È un film Netflix. Prodotto da una società che si chiama Groenlandia. Come l’isola più grande del mondo. Che c’è ancora. Ma con la minore densità di popolazione al mondo. È la storia di Giorgio Rosa. Ingegnere. Bolognese che scelse Rimini per costruire un’isola, nazione indipendente, oltre le sei miglia al largo di Rimini. In acque internazionali.

È vero. Era il 1968, anno di contestazione, grida di libertà e di follia creativa. E a volte distruttiva. Di lotta strenua, fantastica e drammatica, giocosa e violenta, fra possibile ed impossibile.
Un bel film, una bella storia. Somiglia a Rimini.
Una lotta continua fra estremi, che la riminesità tiene, in fondo, sempre a bada.
Giorgio Rosa è un ingegnere, ma dominato dalla fantasia e dal sogno. Contraddizione piena. E non può che scegliere Rimini per realizzare una Nazione autonoma ed indipendente. Dove se no? Pensateci. In qualsiasi parte del mondo lo avrebbero preso per pazzo. Del tutto, non in parte. In parte lo era davvero. Invece a Rimini (e qui entriamo dentro confini labili fra la fiction e la realtà. Fra simile e verosimile, siamo nel film) trova un vecchio compagno d’università, ingegnere pure lui, ma ancor più pazzo di lui, però con padre industriale, al quale ruba i soldi, rovesciando la colpa sugli operai calabresi, per comprare i piloni necessari per creare la piattaforma- isola, al largo delle sei miglia, per realizzare il nuovo Stato. E poi trova un tedesco, ma fantasioso (continua la lotta fra estremi opposti), che era arrivato a Rimini con la guerra, da occupante, per poi rimanerci. Per passare dalla guerra alla festa. Continua. Crea eventi, porta turisti. Tedeschi, che, e poteva succedere solo a Rimini, nella realtà, non solo nel film, in pochi anni, passano dall’invasione bellica a quella vacanziera. Nell’arco di pochi anni. Pensateci. Possono esserci opposti più estremi?
Erano gli anni in cui le terre ricche erano quelle all’estremità opposta al mare, verso l’Appennino. Nelle campagne. Cioè, Saludecio era serie A, Misano e Cattolica serie C.
Ma poi un po’ di pazzi smettono di piantare alberi nella terra e cominciano a piantare ombrelloni nella sabbia. Una grande piantagione d’ombrelloni. Lunga e spessa. La più lunga e larga del mondo. Che, rapidamente , mette radici e si diffonde in una larga e lunga foresta di case e di palazzi e di alberghi. Creando una grande isola. La più grande isola di vacanza in Europa. Non solo un luogo fisico. Un luogo della mente e del cuore. Felliniano.
Una isola che c’è. Dove, come diceva monsignor Tonini, “quel che accade nel mondo succede prima”.
È una terra di estremisti, ma con moderazione.
Cioè, faccio le cambiali, che devo tirar su l’albergo, ma non pretendete mica di incassare le tasse, abbiate pazienza.
Cioè, son tedeschi, si però, portano moneta.
Oh, ciò, son meridionali, calabresi, anche, ma lavorano eh. Son bravi. Dai.
Ed è terra di pazzi, sognatori.
Guardavo, circa un mese fa, Sky, campionato del mondo di moto. Gran Premio di Rimini e San Marino. Diretta televisiva di alcune ore, dal giardino del Grand Hotel. Rimini e la riviera erano collegate con il mondo. Ma non da un luogo qualsiasi. Dal luogo simbolo della Rimini di Fellini, il regista fra i più grandi al mondo. Giocoliere di sogni, fantasiosi, estremi, contraddittori, immaginifici e reali.
E mentre la diretta televisiva andava avanti, scorrevano le immagini di Rimini. Città d’arte, della cultura, minchia! Direbbe Gaber.
Ma non era solo un’isola di ombrelloni ed alberghi?
No, nel mondo andavano le immagini del Castello, del Teatro, di Fellini, del ponte di Tiberio, del tempio del 300 riminese, del Marecchia vestito a festa.
È nata un’altra isola, che il mondo ha scoperto adesso. Che non c’era, ma c’era e c’è adesso, con più forza e bellezza. Magnifica.
Grazie ad un altro pazzo, ma saggio. Estremista e moderato. Con una irosa generosità. Che sta a Palazzo Garampi.
Orgoglio.

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