Pizzolante: il male profondo dell'Italia

La vicenda Palamara, il caso del giudice Franco, relatore della Corte (“un plotone d’esecuzione” disse il magistrato) che condannò Berlusconi per evasione fiscale, condanna che gli valse l’estromissione dal Senato, con una applicazione retroattiva (incredibile!) della legge Severino, non sono la prova di un perenne conflitto tra politica e giustizia.
Sono la prova, provata, che quel conflitto non c’è più da un pezzo, da trenta anni almeno. Con Tangentopoli il conflitto finisce. Game over. La bomba atomica, la soluzione finale.
La guerra finì lì e non c’è più stata pace.

Da quel momento la politica democratica, la parte perdente, si sottomette al vincitore, il partito della “questione morale”. Il moralismo berlinguerriano, diventa giustizialismo. Le culture vincenti della storia, quelle liberali, popolari, socialiste, vengono cancellate come immorali. In Italia, caso unico in Occidente, il Muro crolla al contrario, vincono i perdenti della storia. Il partito di Berlusconi è stato una conseguenza, una reazione non una azione. Una reazione non all’altezza, per anomalie intrinseche, proprie e per, in buona parte, la potenza “militare” del nemico.
La “rivoluzione moralista”, che metteva insieme le culture perdenti della storia, quella post comunista, il cattolicesimo pauperista, quella post fascista (all’inizio), la grande stampa, condizionata dalla grande industria, desiderosa di fare da sola, senza “l’intralcio” della politica, commette un errore storico.
Come tutte le rivoluzioni ha bisogno della forza per vincere. La trova nelle correnti militanti e in quelle autoreferenziale della magistratura.
Il grande errore fu pensare che le correnti della magistratura politica potessero essere usate contro il nemico e poi “gestite”.
Furono dati loro poteri straordinari.
L’esatto contrario di quanto successe alla Costituente, dopo la guerra. Comunisti, democristiani, socialisti, liberali e repubblicani, discussero sui poteri della magistratura. Totale autonomia e indipendenza, sì o no. Si decise per la totale indipendenza. Per paura, dopo il fascismo, che gli uni potessero usare la forza della magistratura contro gli altri. Ma come contrappeso ed equilibrio democratico fu codificata, scolpita, l’autonomia e l’indipendenza del Parlamento. Come? Diciamolo! Senza timidezze e ipocrisie. Con l’istituto della immunità parlamentare e, diciamo anche questo, con il riconoscimento di uno status, anche economico, del parlamentare, almeno pari a quello del magistrato. Questo equilibrio ha garantito l’uscita dell’Italia dalla miseria verso il benessere diffuso, della quinta potenza economica del mondo. Con difetti, naturalmente.
Rotto l’equilibrio, il caos. Dai difetti della democrazia siamo passati alla democrazia come difetto.
L’attacco forsennato, feroce, continuo, al Parlamento ha prodotto questo risultato.
Il “governo degli incompetenti”, direbbe Giovanni Sartori.
L’errore grave è quindi stato rompere l’equilibrio, fornire alla magistratura poteri sostitutivi impropri, che tanti magistrati seri non vogliono, alimentando così la corsa delle correnti ad accaparrarsi posti di potere enorme. Travolgendo la democrazia italiana. Creando un sistema fondato sul sospetto. Su leggi figlie della cultura del sospetto, che hanno ingessato e intimorito il sistema.
Tanto che, oggi, molti invocano leggi speciali, commissari per le grandi opere, immunità per i medici, per i funzionari pubblici, per i dirigenti d’impresa, per i dirigenti di banca, per difendersi dalle leggi e dalle procure.
Si può cambiare tutto questo? C’è una via d’uscita? Sì c’è. Ma il cambiamento deve essere dentro di noi soprattutto! Dobbiamo ripensare quello che abbiamo pensato negli ultimi 30 anni, sui partiti, sulla politica, sul Parlamento. In profondità. Riscoprendo il valore del pensiero nella politica. E le nostre culture politiche migliori: liberali, popolari, socialiste e riformiste.
Perché i mali profondi di oggi sono i figli dei nostri errori e dei nostri furori, anti politici e anti parlamentari.

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