Pizzaiolo ucciso a Castiglione. Definitiva la condanna a 21 anni

Cervia

Diventa definitiva la condanna per l’omicidio di Rocco Desiante, il pizzaiolo 43enne originario di Gravina di Puglia massacrato di botte e lasciato morire dopo una lenta agonia la notte tra il 3 e il 4 ottobre del 2018 nell’appartamento di Castiglione di Cervia, dove si era provvisoriamente trasferito da pochi giorni. A ucciderlo fu Constantin Madalin Palade, ragazzo di origine romena all’epoca appena 19enne e residente nel versante ravennate della piccola località al confine tra i due comuni. Questa la decisione della Corte di Cassazione, che ha confermato la pena a 21 anni, già ridotta in appello rispetto agli iniziali 23 comminati in primo grado.

Il movente

Nel motivare lo “sconto” della condanna pronunciata il 21 aprile dell’anno scorso, i giudici della corte d’assise d’appello di Bologna avevano ritenuto che l’omicidio fosse legato a un «un dolo d’impeto», dovuto a «una reazione a qualcosa di improvviso (e non noto)»; un evento tale da urtare Palade, definito «persona immatura, di giovanissima età», che in quel momento, complice l’assunzione di cocaina, «non era in grado di controllarsi».

Il delitto

La ricostruzione del delitto secondo l’ipotesi accusatoria a suo tempo formulata dal sostituto procuratore Antonio Vincenzo Bartolozzi, aveva descritto i fatti a partire dalle immagini delle telecamere della Caffetteria della Piazza, da dove Desiante e una serie di amici - tra i quali anche il 19enne - si erano allontanati per concludere la nottata nel vicino appartamento. L’omicidio è stato collocato tra l’1.23 e le 3 di mattina. I rilievi sul logo del delitto e le analisi sul cadavere avevano restituito la dinamica dell’aggressione: Desiante sarebbe stato assalito alle spalle e colpito ripetutamente al capo con un oggetto contundente, mai rinvenuto.

Le prove

Tra gli indizi raccolti a suo tempo dai carabinieri del nucleo investigativo, insieme ai colleghi della locale compagnia e della Scientifica, ci sono le scarpe indossate dal giovane e immortalate dalle telecamere: un modello simile alle Nike Air Max 90 mai rinvenute, la cui suola è rimasta impressa secondo gli inquirenti in una delle pochissime impronte lasciate sulla scena del crimine. Ci sono poi le tracce di dna: quello dell’imputato, trovato in un mozzicone di sigaretta e su due bottiglie di birra, più un’evidenza ematica mista isolata nello schienale di una sedia. C’è poi quello della vittima a casa dell’imputato, individuato nello stipite della porta d’ingresso insieme al dna di una terza persona rimasta sconosciuta. La spiegazione ritenuta più logica dai giudici Felsinei è che l’assassino fosse imbrattato di sangue anche una volta tornato a casa. Non hanno giocato a favore dell’imputato nemmeno le chat cancellate con Desiante.

La difesa

Contestando su più punti gli elementi presentati dall’accusa, il difensore di Palade aveva chiesto l’annullamento della condanna. «Siamo convinti che ci siano grosse incongruenze nella sentenza di secondo grado - dichiara l’avvocato Carlo Benini - e riteniamo ci siano piste alternative. Visto l’esito del processo indiziario, attendiamo il deposito delle motivazioni della sentenza e mi riservo di fare ricorso a Strasburgo alla Corte europea per i diritti dell’uomo». C’è soddisfazione invece da parte dell’avvocato Francesco Furnari, parte civile per i familiari della vittima. «Finisce un calvario iniziato tre anni e mezzo fa - commenta -. Una grande vittoria per i miei assistiti, nonostante il vuoto della perdita di Rocco è e sarà sempre incolmabile».

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