Pietre Miliari: Radiohead - Ok Computer

Cultura

All’inizio i Radiohead furono scambiati per gli ennesimi imitatori degli U2. In realtà il primo album, “Pablo Honey” (1993), e ancora di più il successivo, “The Bends” (1995), già inquadravano un fenomeno originale, impietoso nell’interpretazione malata di una generazione perduta, a cui era negato anche il futuro. Poi arrivò “Ok Computer” e i Radiohead dimostrarono di non essere soltanto dei melodisti alternativi armati di testi intelligenti, ma anche degli animali onnivori di suoni.

Uscito nel 1997, “Ok Computer” si presentava come un disco senza regole, in cui il criterio con il quale venivano organizzati i colori, le armonie e i ritmi sottintendeva l’idea di una musica in bilico tra rock, psichedelia e atmosfere “space”. Un album, ricco di spunti letterari, tutto giocato sul concetto di alienazione e sulla conciliazione degli opposti, che rimandava all’ascoltatore l’immagine di un universo indefinito, sospeso, inquieto. Qui i Radiohead - memori della lezione dei Beatles, dei Pink Floyd, degli U2, dei gruppi cardine della musica progressive e del jazz di Miles Davis - arrivavano a definire, in maniera nitida, il proprio stile, l’unicità di una proposta che era, insieme, memoria storica e ridefinizione del rock.

Quattordici brani, quelli di Thom Yorke e dei suoi compagni, la cui valenza espressiva passava anche attraverso la capacità di invenzioni melodiche, il lavoro secco e incisivo della sezione ritmica, il contributo assai funzionale delle tastiere e l’uso profondo, visionario e ben congegnato delle parole [“Potreste fermare il rumore/ Sto cercando di riposarmi/ Dalle voci di tutti i polli abortiti che mi girano in testa/ Cos’è quello?/ Cos’è quello?/ Quando sarò re/ Tu sarai il primo ad essere messo al muro/ Con le tue opinioni che non hanno alcuna conclusione logica/ Cos’è quello?/ Cos’è quello?/” (Paranoid Android); “Trasporti/ Autostrade e linee ferroviarie/ Partire e poi fermarsi/ Decollare ed atterrare/ La più vuota delle sensazioni/ Persone deluse/ Aggrappate a bottiglie/ Quando succede è così triste/ Deluso e inconcludente/ Schiacciato sotto la suola come un insetto/ Deluso e inconcludente” (Let Down); “Nel sonno profondissimo dell’innocente/ Rinasco/ In una veloce macchina tedesca/ Mi sorprendo di essere vivo/ Un airbag mi ha salvato la vita/ Nell’esplosione di una stella/ Sono tornato per salvare l’universo” (Airbag); “Sono la chiave che a casa tua/ Tiene chiusi i giocattoli in cantina/ E se ti ci addentri troppo/ Vedrai solo il mio riflesso/ È sempre meglio quando la luce è spenta/ Sono il punteruolo nel ghiaccio/ Non piangere e non suonare l’allarme/ Saremo amici fino alla morte/ Dovunque ti giri/ Io ci sarò/ Apri il tuo cranio/ Mi troverai lì/ Che scalo le pareti” (Climbing Up The Walls); “Un cuore pieno come una discarica/ Un lavoro che ti uccide lentamente/ Lividi che non guariranno/ Sembri così stanco ed infelice/ Buttare giù il governo/ Loro no, non parlano per noi/ Vivrò una vita tranquilla/ Una stretta di mano/ Un po’ di monossido di carbonio/ Senza allarmi e senza sorprese” (No Surprises)]. Il tutto impreziosito dalla qualità fisica e icastica del canto di Yorke (il quale cercava un’espressività vocale solenne e, al tempo stesso, dolente…), dotato di un timbro carismatico di quelli che attiravano perché facevano intuire che dietro c’era qualcosa di importante.

<“Ok computer” - ha scritto Flavio Brighenti - sviluppava il concetto del mal de vivre quotidiano lungo quattordici canzoni dall’andatura altalenante: frenesia psichedelica e malinconici squarci acustici, accelerazioni improvvise e ripiegamenti tattici verso atmosfere cupe e rarefatte. Tutto ciò per testimoniare, alla fine, il dolore, l’angoscia, il senso di vuoto interiore>.

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