Piccolo presenta al Fulgor il suo libro su Fellini e Visconti

Rimini è città che conosce già: il nuovo Fulgor lo ha già visto ma non ha ancora visitato il Museo Fellini. Rimini è del resto per lui come per tanti la città di Federico Fellini. E ora che proprio su Fellini – e su Luchino Visconti – ci ha scritto un libro, per lui tornarci ha il sapore dell’evento speciale.

Francesco Piccolo, scrittore, sceneggiatore, arriva oggi in città per presentare il volume fresco di stampa “La bella confusione” (Einaudi): appuntamento al cinema Fulgor alle 18 insieme alla riminese Laura Paolucci.

Del libro si è detto e scritto tantissimo in queste settimane. Dalle pagine dei più diffusi quotidiani nazionali agli schermi tv. Due film posti l’uno di fronte, e accanto, e “contro”, l’altro: il capolavoro di Fellini 8 ½ e quello dello stesso anno di Visconti, Il gattopardo.

C’è tanto intreccio di coincidenze ne “La bella confusione” e una di queste ha a che fare con il periodo di lavorazione di entrambi i film: il 9 maggio del 1962 iniziano le riprese per 8 ½, cinque giorni dopo quelle per Il gattopardo. Entrambi i set si protraggono fino all’ottobre di quell’anno. Nel 1963 l’uscita nelle sale. A monte, c’è già la “storica” rivalità tra Fellini e Visconti, tra due visioni di cinema, tra due opposte “tifoserie”.

La vicenda è (abbastanza) nota: tutto nasce (e scoppia) nel 1954 con la presentazione alla Mostra del cinema di Venezia dei film La strada di Fellini e Senso di Visconti. Piccolo ricostruisce contesto e accadimenti. Per arrivare al racconto intorno agli altri due capolavori, di quasi una decina di anni più tardi. Quando i due registi rivali si contendono e avranno nei rispettivi set la stessa attrice: Claudia Cardinale. Scura di capelli sul set del Gattopardo, a Palermo, per interpretare la bellissima Angelica, che andrà in sposa al bel Tancredi/Alain Delon, nipote del Principe di Salina (Burt Lancaster); chioma castano chiaro (e in bianco e nero) per Claudia (e ragazza della fonte) in 8 ½.

«Il Gattopardo, libro e film, e 8 ½ hanno incrociato la mia vita in vari modi. Ed è quello che cerco di spiegare, tra le altre cose, nel libro» racconta l’autore.

Piccolo, la chiamano ancora Fellini in famiglia?

«No, ora non più. Accadeva perché da ragazzo avevo una ossessione per il film 8 ½ che rivedevo e rivedevo nella versione in cassetta Vhs. È stato qualcosa che ha generato anche una spinta verso il mio lavoro e con questo libro ho cercato di raccontare questo ma anche un momento meraviglioso della storia di questo paese».

Essere oggi a Rimini cosa rappresenta per lei?

«Rimini è un mito che ruota intorno a Fellini, un mito nato intorno ai luoghi che Fellini racconta, anche se lo fa in maniera vera e falsa, anche facendo finta di essere a Rimini quando non lo è, come nei Vitelloni. Per me è molto emozionante fare la presentazione qui, al Fulgor e con la persona con cui lavoro di più e che è riminese, Laura Paolucci». Lei non ha potuto mai incontrare Fellini quando era in vita, ma solo al suo funerale a Roma. Un momento importante che si incrocia con la sua biografia. Lei è originario di Caserta: c’è questo elemento di parallelismo, di movimento dalla provincia alla città che vi accomuna.

«Per me è il legame con Fellini più grande, quello dei provinciali che arrivano a Roma. Tra le tante coincidenze che racconto nel libro, la mia coincidenza personale con Fellini è stato mettere piede a Roma per andarci a vivere proprio nei giorni in cui è morto. È stato anche un po’ un fatto simbolico della mia vita, è stato come se in quel momento perdessi la giovinezza, perdessi quell’essere chiamato Fellini a casa mia. Fu per me una chiamata all’età adulta. Ognuno, del resto, si costruisce il mito di sé stesso».

Di “8 ½” nel libro scrive: «La vita interiore. Ecco cosa mi mostrava. In letteratura l’avevo letta, ma al cinema non l’avevo mai vista”. C’è anche un riferimento letterario, a “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo.

«Quel film fu un’autentica rivoluzione. Ma all’epoca ne furono consapevoli in pochissimi, furono più gli stranieri che si accorsero immediatamente della grandezza del film. Per noi oggi è impossibile pensare a “8 ½” come a un film che ha diviso e che è stato criticato. Così come ci sembra impossibile pensare al Gattopardo nello stesso modo e ci sembra impossibile che Fellini e Visconti non fossero stati già allora dei miti intoccabili. In realtà nessuno dei due lo fu per i contemporanei».

Un aspetto importante del libro è indicare quanto nei giudizi e pregiudizi dell’epoca contava il condizionamento ideologico, la politica. Accade anche oggi?

«È una caratteristica di quegli anni che libri e film erano degli strumenti ideologici. Fellini ebbe un giudizio positivo per La strada dai cattolici e questo lo rese nemico dei comunisti per anni. Però d’altra parte era anche un’Italia molto vitale dal punto di vista culturale e questo è l’aspetto positivo. Oggi manca il fatto che un’opera artistica abbia una incidenza nella società come ce l’aveva allora. Questo è un gran peccato e sbagliato. D’altra parte, siamo usciti dai pregiudizi ideologici. Forse se c’è un pericolo oggi è che ci potremmo rientrare, ad esempio per l’ossessione che c’è per il politicamente corretto».

Lei scrive dell’euforia che le dà lo scrivere. Quanta euforia ha provato a scrivere questo libro?

«Tantissima, non solo a scriverlo ma soprattutto a studiare. Questa euforia viene anche dal fatto che sono due film che mettono euforia, molta. Sono due film che parlano di sconfitta, di decadenza, di crisi eppure mettono molta vitalità dentro e di questa vitalità io mi sono molto cibato lavorandoci».

Commenti

Lascia un commento

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui