Peste cinghiali, gli allevatori ravennati tremano: "Mora romagnola a rischio"

Ravenna

Nessun caso è ancora stato registrato sul territorio provinciale, ma le vendite sono già in calo: la peste dei cinghiali spaventa gli allevatori di suini, che la settimana scorsa si sono recati a Roma con Coldiretti per chiedere al governo di agire subito per mettere al riparo una produzione che rischierebbe di essere completamente spazzata via. In provincia i timori riguardano soprattutto la mora romagnola, una delle cinque specie autoctone presenti sulla penisola, ricostituita nel Brisighellese a partire dagli anni ‘80 quando, ad un passo dall’estinzione, ne fu recuperato il patrimonio genetico con grande sforzo anche dal punto di vista della ricerca scientifica. Fu un successo e ora la sua carne, apprezzata ovunque, è uno dei prodotti più rappresentativi del borgo dei tre colli. Ma l’allevamento allo stato brado, tipico della specie, espone la mora a possibili contatti con i cinghiali. Gionata Venzi, di Brisighella, uno dei principali allevatori del territorio, la settimana scorsa era nella capitale e non nasconde una preoccupazione che investe l’intero settore: «Se dovesse verificarsi anche un solo caso – sottolinea – devono essere abbattuti tutti gli esemplari presenti nel raggio di 50 chilometri. Con l’azienda sto già notando un calo nelle vendite, i clienti sono preoccupati che i maiali siano malati: oggi al mercato vendo 10 chili di salsiccia, prima ne vendevo 50. Ma la peste arriva dai cinghiali, i nostri animali sono tutti sani e controllati». Insomma, nel caso in cui la peste arrivasse sul territorio, il danno sarebbe doppio: «Significherebbe ancora una volta l’estinzione della mora romagnola – prosegue Venzi – e le aziende del settore finirebbero sul lastrico. Sarebbero in tanti a fallire completamente». L’indotto economico che ruota intorno alla mora è notevole: il valore commerciale di un singolo esemplare si aggira poco al di sotto dei 4 euro al chilo e ciascun capo può arrivare a pesare fino a due quintali. Se si considera che da una azienda come quella di Venzi passano circa 300 esemplari all’anno, il calcolo arriva facilmente a segnare un giro economico che supera i 200mila euro. «Il problema è enorme, vivo di questo – rimarca l’allevatore –. I miei terreni sono già devastati dai cinghiali, più che una prevenzione ormai occorre attuare piani di controllo sulla loro espansione nel territorio». Il limite sarebbe di cinque capi per ettaro, ma è evidente come i numeri siano in realtà molto superiori alla soglia di tranquillità, pur nell’impossibilità di disporre di cifre precise e ufficiali. Al momento le autorità sanitarie hanno imposto l’uso di recinzioni elettriche, «ma se un cinghiale vuole passare – sostiene Venzi – troverà il modo di farlo comunque». Le congiunture nefaste non si fermano però all’allarme per un temuto arrivo della peste: la guerra fa schizzare in alto i costi anche per le imprese del loro settore. «I mangimi sono aumentati dell’80/90% rispetto all’anno scorso – conclude Venzi –. Quelli di tipologie più particolari, come i mangimi per lo svezzamento, si sono alzati anche del 100%». I timori di Coldiretti «Il rischio del contagio porterebbe a cancellare una specie considerata in via di estinzione»: Assuero Zampini, direttore provinciale di Coldiretti, dichiara senza mezzi termini che la mora romagnola non potrebbe salvarsi nell’eventualità in cui venissero rilevati casi di peste dei cinghiali anche nella provincia di Ravenna. «Il numero dei capi di mora – spiega – non supera il migliaio, questo anche perché si tratta di animali non molto prolifici. Inoltre il grado di consanguineità è elevato». Al momento la patologia è stata rintracciata solo in Piemonte, Liguria, nel Piacentino e in alcune aree di Roma, ma la paura che possa allargarsi a macchia d’olio anche in Romagna c’è e pochi giorni fa ne ha parlato alla Camera anche il deputato di Italia Viva, Marco Di Maio. D’altronde la presenza di cinghiali sul nostro Appennino è piuttosto cospicua: «Nella provincia di Ravenna, tra caccia e piani di controllo, potremmo gestirli con relativa tranquillità, ma purtroppo i cinghiali non rispettano i confini provinciali – afferma Zampini –. Diversi branchi arrivano dalla vicina provincia di Forlì, dove non è stato ancora attivato il piano di controllo, e dalla Toscana, dove proliferano in maniera esagerata». Il direttore di Coldiretti Ravenna è inoltre convito che i cinghiali non rappresentino solo un pericolo potenziale per la malattia che li potrebbe colpire, ma anche un problema già in atto per le coltivazioni, arrivando a definirli «una piaga biblica per il territorio»: «Ora che capiamo bene qual è il valore di una spiga di grano, l’opinione pubblica si attivi e sia consapevole che il cinghiale è un animale che mette a repentaglio la nostra sicurezza alimentare». La situazione, per quanto riguarda le misure preventive, pare essere più sotto controllo rispetto a altre parti d’Italia, complice la possibilità di autocontrollo e autodifesa concessa agli agricoltori. «E anche i cacciatori – specifica Zampini – si stanno dimostrando collaborativi». Ma l’obbligo di recinzioni per evitare contatti con i cinghiali selvatici implica costi elevati per gli allevamenti: «Serve un aiuto per sostenere le maggiori spese» è la richiesta di Coldiretti. Fermo restando che, se accedesse quello che nessuno si augura, «anche con un solo caso di peste – conclude Zampini – ci troveremmo tutti bloccati».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui