Oggi riesce anche a sorridere pensando a quando lei pesava esattamente come quelle 3 confezioni di acqua minerale da sei bottiglie ciascuna. Il conto è facile, più difficile crederlo: 18 bottiglie da un litro e mezzo, per un totale di 27 kg. In una ragazza alta 165 cm significa rimanere solo le ossa e un lembo di pelle, quasi trafitto dalle stesse. Oggi Elisa Ricci, 30enne di Lugo, in provincia di Ravenna, è tornata a vivere: pesa 52 kg e il suo viso non è più scavato, ma impreziosito da un genuino sorriso. Ha deciso di raccontare la sua storia, senza nessuna vergogna, anzi fiera di aver vinto contro quel disturbo alimentare che l’ha divorata. L’abbiamo invitata a fare colazione, che ha fatto con una ghiotta brioche al miele, e ci ha lasciato la sua testimonianza.
Elisa, quando è iniziato l’incubo dell’anoressia?
«La prima volta poco dopo i 18 anni, durò un solo anno e non andai mai sotto i 35 kg. Dopo recuperai qualcosa, ma mai completamente e con repentini sbalzi di peso, il classico fenomeno del “binge eating”. E poi la ricaduta verso la fine del 2019, quella più grave, dalla quale pensavo di non uscirne più, aggravata dai primi lockdown».
Ti sei mai chiesta il perché?
«Sì. Sicuramente un particolare e difficile ambiente familiare, ma non solo. Le mie insicurezze e la paura di rapportarmi. Forse anche una serie di maledette coincidenze: in una delle mie ultime relazioni sentimentali il ragazzo che “credevo mi amasse” mi apprezzava proprio per il mio peso».
Oggi pensi di esserne uscita?
«Credo proprio di sì, anche se “uscire” mi sembra un parolone: io credo di avere imparato a contrastare quel malessere col pensiero giusto e la forza di volontà! Ognuno deve trovare una motivazione per farcela e io l’ho trovata nel mio lavoro. Sono stata assunta da un supermercato (Crai Pagliuti di Lugo) e loro mi hanno salvata. Tutta la squadra è divenuta la mia famiglia e mi ha fatto vedere di cosa fossi capace, andando a stimolare quell’autostima che chissà dov’era finita. Dal di lì è ricominciato un po’ tutto: la gioia di mangiare, la voglia di andare in palestra per riprendere quel muscolo che non c’era più. La voglia di ridere, di cucinare. Insomma, la vita».
In quel periodo difficile hai mai avuto paura, o addirittura voglia, di morire?
«Paura no, purtroppo. Voglia – trattiene per qualche istante il respiro – a volte di sì. E qui dovrei aggiungere tanti purtroppo. Mi ero arresa a quelle sofferenze fisiche e mentali, ma fortunatamente non del tutto. Lo splendido rapporto che ho continuato ad avere con mio fratello, l’altra mia grande salvezza, è forse una delle cose che mi ha sempre spinto a non mollare, ma vi garantisco che è una sensazione orribile».
Quando riguardi quelle foto in cui pesavi meno di 30 kg cosa vedi?
«Vedo il dolore che ho provato, le enormi sofferenze. Vedo una ragazza che per ben due volte si è fratturata il bacino da quanto era debole. Vedo la mia gamba che si è rotta dal nulla, facendomi cadere a terra. Però oggi non mi riconosco più in quella persona lì».
Hai mai aiutato, o ti piacerebbe farlo, un’altra ragazza a sconfiggere il tuo stesso disturbo alimentare?
«Un’amica ha una figlia che sta affrontando le stesse mie lotte, e io spero di darle i consigli giusti per aiutarla. È fondamentale avere la voglia e la volontà di farsi ascoltare, quando invece molte di noi tendono a isolarsi. C’è chi lo fa per vergogna, ma anche chi semplicemente crede di non avere bisogno di nessuno. Confidandomi e rendendo pubblica questa parte di me spero di poter essere d’aiuto a chi ancora non trova quel coraggio per farsi aiutare. I disturbi alimentari vanno curati e non sottovalutati, e per farlo ci serve supporto».
Oggi mangi di tutto?
«Posso dire che mangiare è veramente bello e non mi privo di nulla, dalla lasagna alla pizza, dalla brioche al pollo al curry. Sono abbastanza salutista, ma cedo volentieri alla gola».
All’inizio ci eravamo detti di terminare questa intervista con qualcosa di allegro, proprio per contrastare l’inizio di questa triste storia. Col senno di poi, oggi “ti mangeresti” le mani per quei lunghi mesi di continue sofferenze?
«Certamente sì. Però non voglio colpevolizzarmi per ciò che è stato, voglio premiarmi per ciò che sono oggi. Ci sono tanti lati belli della vita che ripensare ai brutti non serve».
Le strutturea cui rivolgersiin Romagna
Più di tre milioni di persone in Italia soffrono di disturbi dell’alimentazione come anoressia e bulimia. Le donne, con oltre il 95% dei casi, sono tra le più colpite. I dati epidemiologici fotografano una situazione nella quale l’incidenza dell’anoressia nervosa è di almeno 8 nuovi casi per 100mila persone in un anno. La fascia di età in cui l’esordio si manifesta più spesso è quella compresa tra i 15 e i 19 anni. L’anoressia (cioè quel disturbo caratterizzato dalla paura del diventare obesi e, quindi, la ricerca dell’essere magri) è la terza più comune malattia cronica fra i giovani; pazienti con anoressia fra i 15 ed i 24 anni hanno un rischio di mortalità 10 volte superiore a quello dei coetanei. Il numero di decessi in un anno per anoressia nervosa si aggira intorno al 6%. Le cause del disturbo non sono note, anche se si sa che a contribuire al suo sviluppo ci sono fattori genetici ma anche sociali. Andare dal medico è essenziale perché spesso non si riesce ad uscirne da soli. In questi casi, infatti, una terapia psicologica, psichiatra e nutrizionale può venire in aiuto. L’Istituto superiore di sanità proprio di recente ha stilato la prima mappa dei centri in Italia che si occupano dei disturbi alimentari, con una piattaforma online, interattiva e aggiornabile in tempo reale, dove sono censiti tutti i centri dedicati alla cura dei disturbi del comportamento alimentare. Quello di piattaformadisturbialimentari.iss.it è il primo censimento in Italia dei servizi ambulatoriali, residenziali e semi-residenziali appartenenti al Servizio Sanitario Nazionale e che da quest’anno coinvolge anche le strutture del privato accreditato. La mappatura conta 108 strutture su tutto il territorio nazionale: 55 centri al Nord (di cui 18 in Emilia-Romagna), 18 al Centro Italia e 35 tra Sud e Isole. Le strutture romagnole sono a Imola (nella Ausl di via Montericco), a Forlimpopoli (nella Ausl di via Duca d’Aosta), a Forlì (in via Cristoforo Colombo), a Ravenna (in via Fiume Abbandonato), a Rimini (in via Gaspara Stampa e in via Coriano), a Cesena (negli ambulatori Dca di piazza Anna Magnani).