«Portiamo in tavola le nostre alghe»



Coltivare, raccogliere e vendere alghe dell’Adriatico da portare sulla tavola. Un’impresa ardua visto che in Italia manca la normativa necessaria. A cimentarsi nella sfida - che, sulla falsariga di quanto già accaduto con il granchio blu, potrebbe trasformare quello che viene visto come piaga, ovvero il proliferare di alghe in Adriatico, in un’opportunità - è il gruppo che nel 2020 ha ideato il progetto Alga Ulisse, ossia i quattro soci fondatori che l’anno dopo, verso novembre, hanno dato vita alla cooperativa Itaca (innovazione tecnologia alghe cooperativa adriatica). Il prossimo passo per «i magnifici 4» sarà dare forma giuridica a questa progettazione. Un gruppo, il loro, formato da Lisa Mustone, 24enne laureata in statistica originaria di Modena ma residente a Cesenatico, Simone Castagnoli 33enne aquascaper (creatore di paesaggi e acquari sottomarini) nato a Cesenatico, proprio come Jacopo Michelacci, pescatore di vongole di 33 anni e infine il 40enne cattolichino Antonio Morritti, presidente della cooperativa e erede di quattro generazioni di pescatori.
Morritti, definite spesso la vostra iniziativa una campagna di sensibilizzazione. Può illustrarci meglio questo concetto?
«Non parliamo solo di street food all’insegna della semplicità, visto che vendiamo alghe fritte dal costo di 3 euro a cono, tra Cattolica e Cesenatico, né di un vero e proprio business. Si tratta, piuttosto, del tentativo di spezzare i pregiudizi che circolano sulle alghe. Alghe che, nell’immaginario collettivo, sono viste come qualcosa di brutto e maleodorante, forse in correlazione con la mucillagine che tuttavia interessa solo le microalghe. Lottiamo, in buona sostanza, contro la grande confusione che spesso domina il settore ittico. Manca del resto, almeno per quanto riguarda le alghe, una legislazione appropriata».
Che sapore hanno le alghe?
«Un ottimo sapore di mare e c’è anche chi le paragona ai fiori di zucca. La pastella, invece, è ottenuta da una tempura di farina di riso e acqua frizzante. Il nostro progetto si basa sulle alghe autoctone, come la Lattuga di mare o la Gracilaria (da cui si ottengono addensanti come l’Agar agar) ma, ricordiamolo, di alghe in natura ne esistono 12mila tipi. Sarà questo l’alimento del futuro, a fronte del sovrappopolamento».
Vendete alghe straniere, però.
«Solo perché non possiamo vendere quelle italiane che sono le migliori a livello organolettico rispetto a quelle dell’Atlantico che, oltretutto, arrivano sotto sale».
In futuro vi concentrerete sull’esportazione?
«Puntiamo a creare un marchio made in Italy a chilometro zero ma soprattutto a tagliare le importazioni. La nostra, lo sottolineo, è un’ottica ecosostenibile, seppur con i limiti del caso. Basta pressing su pesce e molluschi: l’obiettivo è valorizzare un vegetale che non necessita di terreno né di acqua dolce per crescere. L’alghicoltura ha l’impatto più basso in assoluto sul pianeta e, se non bastasse, le alghe contribuiscono alla fotosintesi».
L’alga dell’Adriatico è un alimento nutriente?
«Ci sono studi che provano il basso apporto calorico delle alghe e la loro ricchezza in termini di sali minerali e proteine. La Lattuga, in particolare, è ricca anche di vitamina C. E bastano dieci grammi per coprire il fabbisogno giornaliero di magnesio. Altri dettagli? Tra i vegetali solo le alghe possiedono la B12, oltre che polisaccaridi di grande interesse. In pandemia, infine, è stato dimostrato che l’Ulvan inibiva la sintesi proteica del Coronavirus rallentando la sua proliferazione».
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