Fabio Zaffagnini e Rockin’ 1000 che diventa un libro: “Siamo una community globale e sbarchiamo negli Stati Uniti”

Solo nove anni per attraversare una lunga strada che va da zero a mille. Lo ha fatto Fabio Zaffagnini (1976), romagnolo cresciuto a Fusignano, da anni a Cesena, che ha appena pubblicato con Roi editore il suo Da zero a mille. La storia di Rockin’1000 e altri colpi di testa (più qualche lezione imparata a fatica), il libro autobiografico in cui racconta l’avventura della band più grande del mondo.

Nata, ricordiamo, nel luglio 2015 a Cesena, per cantare “Learn to fly” e convincere la rock band statunitense dei Foo Fighters, e il suo leader Dave Grohl, a venire a Cesena. Obiettivo raggiunto quattro mesi dopo da quel primo concerto divenuto virale in rete. Un sogno adrenalinico che ha dato il “la” a una storia visionaria con guizzi di follia, ma portata avanti con concreta dedizione, con un procedere testacuore resistendo agli accidenti, e sempre insieme a una squadra appassionata.

Zaffagnini è nato per l’avventura; da geologo ricercatore ha girato mezzo mondo virando in seguito verso start-up e altri progetti. Un “prima” per lui fondamentale, che racconta nel libro per fare capire il dopo.

Zaffagnini, perché un libro sulla storia ancora giovane di Rockin’1000?

«Per rispondere ai tanti che mi chiedono “come ti è venuta l’idea?” e spiegarlo scrivendo cosa è successo prima. Perché l’idea di Rockin’1000 è conseguenza di tante diverse esperienze: da archeologo in Medio Oriente a geologo imbarcato su navi oceanografiche, dai mari dell’Antartide al Pacifico, ricercatore, imprenditore di start-up, insomma è frutto di 30 anni di vita. Sono convinto che avere vissuto esperienze così distanti da quella di oggi sia stata la chiave che mi ha permesso di avere un’idea fuori dalle righe. Perché aprirsi a discipline diverse, sempre ricercando qualcosa di folle, porta alla creatività, che è frutto di contaminazione di mondi anche lontani».

Perché chiamare a Cesena proprio i Foo Fighters?

«È stata una folgorazione improvvisa che si è trasformata in una ossessione, che mi ha spinto a condividerla con amici e tanti altri. I Foo Fighters appartengono alla musica che ho sempre ascoltato, ma non sono gli unici, però li ho ritenuti la band giusta per quella mia folle proposta, del resto dopo quel video mondiale non potevano sottrarsi al nostro invito!».

“Condividere” è la parola che contraddistingue questo suo percorso?

«La condivisione nasce dal desiderio di voler vivere esperienze insieme ad altre persone dopo anni passati a lavorare in solitario. Testata prima avviando una sorta di piattaforma di car sharing per andare a vedere concerti insieme, poi sfociata nell’invitare una famosa rock band nella mia città; oggi rivedo come tutto è concatenato».

Come è andata avanti l’avventura dopo il successo con i Foo Fighters?

«Le esperienze conseguenti sono un momento centrale del libro; dopo quella goliardata, un qualcosa di matto, la grande sfida è stata di trasformare il progetto, consolidarlo e creare esperienze per i musicisti come una vera band. Cosa che ci ha portato a fare concerti in giro per il mondo, ormai ci avviciniamo ai 100mila musicisti di Rockin’1000, di 190 Paesi. Ora 17 persone lavorano a tempo pieno nella nostra azienda, e altre decine se non centinaia collaborano nei luoghi degli eventi».

Insomma, da un sogno all’altro ma in modo concreto.

«Un aspetto che ho trattato in Da zero a mille è come consolidare un sogno. Molto spesso lo si affronta in maniera naïf. Ho voluto raccontare cosa significa veramente “farsi il mazzo”, quali le tensioni da sopportare, il peso, i fallimenti, con sguardo disincantato su che cosa significa portare avanti un progetto ambizioso, anche dal punto di vista personale, psicologico. Richiede tempo, pazienza, competenza e uno sproposito di energie».

Nove anni dopo come state continuando?

«Facendo concerti ma con l’obiettivo di diventare una community globale, un servizio che permette di incontrarsi nel mondo reale per fare musica insieme. Aiutando a ritrovarsi “dietro casa” per jam session e concertini, fino all’esperienza della vita nel grande stadio. Contrastando una digitalizzazione eccessiva che rischia davvero di minare i rapporti umani. Oggi la nostra piattaforma consente di farlo in Italia, Francia, Brasile...».

Cosa pensa di avere portato nella musica?

«Il mondo della musica ci ha guardato con simpatia, adesso con più rispetto dopo aver registrato numeri da rock star. Solo una ventina di giorni fa, al concerto di Rockin’1000 a Berlino, alla Porta di Brandeburgo, nel 35° anniversario della caduta del Muro, sono state stimate 500mila persone! Penso che Rockin’1000 abbia portato innovazione nel mondo delle cover band, quale noi siamo. Ma al di là della musica, credo fortemente che siamo prima di tutto un fenomeno sociale, che ha permesso di mettere al centro tanti invisibili del mondo della musica: amatori, dilettanti, suonatori casalinghi. Persone che rappresentano il cuore e la base più larga della musica suonata. Raggiungendo insieme obiettivi che individualmente sarebbero impossibili; in un ambiente collaborativo, non competitivo».

Un progetto dunque alternativo alla sfrenata competitività che alle volte può distruggere?

«Ho l’impressione che, grazie alla Generazione Zeta, oggi si tenda ad abbandonare lo spirito competitivo per abbracciare la collaborazione, per vincere tutti insieme; Rockin’1000 quasi inconsapevolmente l’ha portato avanti, oggi lo fa in modo consapevole».

Come si conclude il suo libro, e come aprirà il prossimo?

«Si conclude sul focus del momento: aprirci al mercato negli Usa dove ciò che facciamo penso potrà risuonare moltissimo; trasformarci in una realtà sempre più globale in una dimensione di community. Spero diventi un nuovo capitolo da scrivere a 80 anni».

Ma lei cosa sognava da bambino?

«Sognavo di vivere tante avventure, mi vedevo al centro di avventure rocambolesche e ho avuto la fortuna di affrontarne tante che racconto, anche divertenti, sopra le righe, dal fare il cubista in discoteca a rischiare di morire in Argentina facendo trekking».

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