Fatti e personaggi: quando Vespasiano fu imperatore di Rimini

Cultura

L’avvenimento fece scalpore. Avrebbe potuto addirittura sconvolgere il corso della millenaria storia cittadina. Mi riferisco alla costruzione, in piazza Giulio Cesare (ora Tre Martiri), di un monumento votivo all’imperatore Tito Flavio Vespasiano, fondatore della seconda dinastia della storia romana, quella dei Flavi.
La realizzazione del quarto monumento romano della città avvenne a tempo di record nel giugno del 1912. Tecnici altamente qualificati, assistiti da ingegneri e architetti di chiara fama, “montarono” l’opera nel breve lasso di tempo di un mattino. Con intuito geniale, gli amministratori della nobile città dei Malatesta collocarono il maestoso fabbricato a pochi passi dal petrone che ricorda una delle pagine più significative del fondatore dell’impero.
In quel particolare centro nevralgico della vecchia Ariminum, il nuovo “mausoleo” in «lamiera di ferro» abbracciava idealmente, attraverso un suggestivo percorso storico, l’Arco, il Ponte e il Cippo e con queste tre testimonianze della classicità univa, in una sintesi di gloria, i quattro grandi di Roma: Cesare, Augusto, Tiberio e Vespasiano.
Anche la stampa locale, sempre critica nei confronti delle iniziative culturali, inneggiò all’imponente realizzazione. Il Momento, giornale radicale, il 27 giugno 1912 manifestava stima e solidarietà al Municipio e alla sua «grande sapienza amministrativa» per aver «provveduto ad erigere, con arguto riscontro storico, un monumento votivo ad un altro grande della romanità».
La Riscossa, periodico repubblicano, dopo essersi congratulata con gli ideatori e i promotori della bella iniziativa, suggerendo addirittura un’inaugurazione ufficiale e solenne, il 29 giugno 1912 ribadiva: «L’opera insigne che nasconde ed offusca il cippo che ricorda il passaggio di Giulio Cesare, sarà un ricordo perenne del genio dei nostri bravi amministratori».
Per mettere in chiaro certe gerarchie acquisite dalla storiografia ufficiale interveniva pure Il Gazzettino Azzurro. Il 4 agosto 1912 il settimanale balneare obiettava con garbo sulla troppo stretta vicinanza della nuova mole al cippo di Giulio Cesare. «Vespasiano – azzardava l’azzurro periodico – è stato certamente un grande imperatore e finché l’uomo esisterà sulla terra gli farà omaggio di quotidiani frequenti sacrifici, ma Vespasiano per primo, se fosse vivo, imporrebbe il dovuto rispetto al fondatore dell’impero».
Spesso si formavano file…
Qualcuno, a onor del vero, tentò di criticare il monumento, ma solo per eccessiva pignoleria. Quisquilie. Il modello prescelto – sosteneva con capziosità Il Momento il 1° agosto 1912 – sarebbe stato più adatto a un luogo appartato e munito di piante anziché a una zona centrale, sede di mercato due volte alla settimana.
Il successo immediato che ottenne l’opera fece ricredere i più incalliti criticoni. L’interesse per l’insigne imperatore Vespasiano creò un viavai continuo di gente in tutte le ore del giorno e della notte; spesso, dinanzi al lamierato, si formavano file d’attesa e si notava come alcune persone, impazienti di entrare, sollecitassero da fuori i visitatori interni a far presto. Non pochi poi erano quelli che, presi da un raptus storico-culturale, si recavano a far visita al monumento persino di corsa.
Furono smentiti pure coloro che sostenevano che la «mole vespasiana» avrebbe avuto consensi solo presso i frequentatori della piazza. Dati alla mano, si poté constatare che i visitatori non erano soltanto gli habitués dei portici e dei sobborghi, ma anche i villici del contado. D’estate poi, a infoltire la massa degli appassionati della romanità imperiale, si aggiungevano i villeggianti e tra questi non mancavano gli aristocratici blasonati.
Col tempo le continue visite, anche se brevi e furtive, erano diventate vere e proprie processioni. Vespasiano, nuovo idolo incontrastato della cittadinanza, stava offuscando la fama degli altri imperatori. Quasi dimenticati Augusto e Tiberio; totalmente trascurato Giulio Cesare: solo qualche fanciullo si ricordava, nei «giochi di piazza», del petrone da dove il grande duce aveva arringato le soldatesche annunciando al mondo l’inizio di una «novella istoria».
Per anni «il Vespasiano» fu protagonista assoluto e indiscusso del dibattito storico-culturale della città. Di Lui si parlò durante i difficili momenti della Prima guerra mondiale e nelle altre avversità che colpirono Rimini dal 1915 al 1918.
In pellegrinaggio al “petrone”
L’immediato dopoguerra registrava un ulteriore incremento del quotidiano pellegrinaggio al “santuario” della grandezza imperiale romana, opportunamente restaurato e «rimesso a nuovo», come faceva notare Germinal, giornale socialista il 9 agosto 1919. La situazione però era cambiata: gli avvenimenti bellici avevano sconvolto le vecchie ideologie e tutto era messo in discussione.
In questo clima di instabilità politica e di incertezza amministrativa ebbero buon gioco gli acerrimi nemici del capostipite della dinastia dei Flavi. Protetti dalle tenebre di un disorientamento dottrinale che annebbiava le coscienze, questi individui – sostenitori di un anacronistico revisionismo storico – rimossero il monumento a Vespasiano. La stampa e i riminesi non reagirono al sopruso. Accettarono in silenzio il fatto compiuto dimenticando, con molta ingratitudine, l’euforica accoglienza tributata al lamierato negli anni passati, quando, a furore di popolo, avevano addirittura proposto di cambiare l’intestazione della piazza: da Giulio Cesare a Tito Flavio Vespasiano.

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