Fatti e personaggi: patente e prime norme per i ciclisti

Cultura

Il Regolamento per la circolazione dei velocipedi, approvato dal Consiglio comunale riminese il 15 aprile 1896, conclude un anno di vivaci polemiche intorno all’ultimo nato della “famiglia delle locomobili”: la bicicletta, meglio conosciuta col termine di velocipede. Nella normativa si precisa con molta chiarezza che «ogni velocipedista dovrà essere munito di “licenza municipale” concessa in base a certificato di idoneità, che verrà rilasciato in seguito ai risultati di un esperimento pratico, che sarà fatto davanti ad una commissione all’uopo nominata dalla Giunta Comunale».
La patente – perché di questo si tratta – e alcune prescrizioni restrittive per la guida della bicicletta sono la conseguenza di una serie di incidenti registrati in città in seguito alle spericolate manovre degli «acrobati delle due ruote». Le imprese di questi personaggi, infatti, avevano animato la discussione tra i cittadini creando malumori e tensioni al punto di dividerli in due opposti schieramenti: i “falchi” e le “colombe”. I primi, inizialmente in maggioranza, pretendevano di vietare la circolazione delle due ruote in alcune vie di intenso traffico, quali il Corso d’Augusto, la via Principe Amedeo, la via Garibaldi (nei giorni e nelle ore di mercato) e il piazzale a monte dello Stabilimento bagni. Irriducibili sostenitori di disposizioni ancora più severe e riduttive, i “falchi” erano del parere di consentire la circolazione per «le strade battute dai pedoni», purché la velocità di questi «amanti del brivido e dell’equilibrio» non fosse «superiore a quella del passo accelerato di un uomo» e che fossero addirittura obbligati a fermarsi ogniqualvolta si fossero trovati a incrociare gli animali (Atti del Consiglio comunale di Rimini, 11 maggio 1895).


Le “colombe” – cioè i permissivi –, prendendo spunto da alcune norme già in vigore in altre città italiane, sostenevano la libera circolazione in tutte le vie, previa «licenza di idoneità» e a condizione che i biciclettisti mantenessero una velocità moderata e che fosse opportunamente «usato il campanello a suono continuo» (Atti del Consiglio comunale di Rimini, 23 novembre 1895).
Le tesi di “falchi” e “colombe”
Due tesi nettamente discordanti. Solo sulla «licenza di idoneità» i pareri erano unanimi: “falchi” e “colombe” ritenevano doveroso un esame pratico che accertasse l’abilità di guida e la padronanza del mezzo.
L’epilogo di questa “battaglia” sulle norme di circolazione sanciva la vittoria delle “colombe”. Il Consiglio comunale riminese, nella storica seduta del 15 aprile 1896, concedeva ai velocipedisti il permesso di libero accesso in tutte le strade della città e dei sobborghi. La circolazione era preclusa solo sui marciapiedi, sotto i portici, nei giardini pubblici (per non recare pericolo ai «bambini che si conducono ivi a passeggio») e nei viali riservati ai pedoni. I biciclettisti avrebbero dovuto, però, pagare una tassa annuale e possedere la «licenza di guida». Questo, in soldoni, il succo della normativa.

Fatto il Regolamento si comincia a discutere come attuarlo. E a questo punto le cose si complicano ulteriormente. Intanto, in attesa della sua entrata in vigore, il 30 maggio 1896 il settimanale cattolico L’Ausa, interprete dei disagi e delle violenze cui sono sottoposti i pedoni non tutelati da un traffico stradale decisamente incontrollato e disordinato, denuncia: «Biciclettisti, attenti! Non passa giorno senza che avvenga qualche disgrazia e… capitombolo. Ora è un bambino investito, ora un pover’uomo che va diritto per la sua strada. Non sarebbe meglio che gli amanti di… volate senza pavoneggiarsi tanto guardassero piuttosto di non molestare la povera gente che va a piedi? Sorvegliare a chi tocca?».

Già, sorvegliare. Con lo sparuto corpo dei vigili urbani in organico presso il Municipio, tenere d’occhio le biciclette, che continuano ad aumentare, è veramente un problema. Ma un problema ancora più arduo è riuscire a costituire la commissione giudicatrice dell’«esperimento pratico». Quali requisiti o titoli accademici devono possedere i membri di questo organismo per concedere la patente di guida? E poi: dove consentire agli aspiranti ciclisti di far pratica prima di sostenere l’esame di idoneità? E ancora: chi è in attesa di licenza deve condurre la bicicletta a mano o vi può anche salire? Tanti gli interrogativi ai quali non si riesce a dare risposta!
Licenza di libera circolazione
Come era facilmente prevedibile, il Municipio per evitare di rendersi ridicolo, ma soprattutto per sveltire le pratiche relative alle licenze di circolazione, è costretto a concedere una “sanatoria generale”. Al Regolamento viene aggiunta una «disposizione transitoria» che dispensa «gli attuali velocipedisti» dal sostenere l’esame prescritto, dando loro ugualmente «la licenza di libera circolazione, in base a regolare atto di notorietà» stipulato alla presenza di due testimoni presso l’Ufficio di Polizia Urbana e attestante l’idoneità alla guida del veicolo (Atti del Consiglio comunale di Rimini, 23 novembre 1895).

Chiaro? Per niente. Se da una parte l’eccezionale scappatoia del condono – con scadenza il 15 agosto 1896 – snellisce il disbrigo burocratico delle licenze di circolazione, evitando lungaggini e intasamenti procedurali, dall’altra non risolve il problema della guida irresponsabile e pericolosa dei soliti temerari del manubrio. Non a caso, il 6 agosto 1896, mentre sotto il loggiato del civico palazzo una composta fila di velocipedisti si appresta a dimostrare la propria abilità di guida alla presenza di due testimoni, L’Ausa lamenta ancora dalle sue colonne i loro soprusi nei confronti della «povera gente che va a piedi». «I signori biciclettisti – brontola il periodico – non potrebbero avere un po’ di riguardo ai passeggeri che se ne vanno per la loro strada e far sentire spesso, almeno agli svolti delle vie, il suono dei loro campanelli? E specialmente nelle sere di maggior concorso, non potrebbero andare più piano nei luoghi di passaggio?».

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