Un elegante volume di 270 pagine appena pubblicato racconta e svela Norberto Pazzini (1856-1937) pittore verucchiese attivo nella sua città e a Roma, dove diciottenne si trasferì per frequentare gli studi d’arte, visse e operò prendendo parte a quel rinnovamento della pittura che si stava compiendo in quegli anni e che poi portò nella sua terra d’origine, a cui rimase sempre profondamente legato.
Il volume, dal titolo “Norberto Pazzini (1856-1937) La laude, il bello, il vero”, stampato da Pazzini Editore Verucchio, sarà presentato oggi a Rimini, (ore 17) nella sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, Palazzo Buonadrata. Si tratta di un’opera molto attesa in quanto mai come ora si era compiuta una ricerca così approfondita sull’artista e una ricognizione tanto accurata e ampia delle sue opere.
I curatori
Si apre con un saggio critico della curatrice, Michela Cesarini, in cui ne traccia l’intera parabola artistica, segue un commento del carteggio inedito di Norberto col figlio Adalberto, storico della medicina, curato dal pronipote Domenico Pazzini. Il nucleo fondante del volume è il ricco catalogo in cui vengono presentate oltre 200 opere frutto di una campagna fotografica realizzata ad hoc, seguita alla capillare ricognizione di pitture e grafiche presenti in collezioni private e prestigiosi musei tra cui la Galleria nazionale d’Arte Moderna di Roma e la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino. Tra gli apparati critici la biografia, le principali esposizioni a cui prese parte – tra cui la Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma – e stralci critici di storici dell’arte e curatori di mostre.
L’artista
Pittore d’avanguardia per i suoi tempi, come evidenzia la curatrice nel testo di apertura dal titolo “La poesia del vero”, nel corso dell’operosa attività, riconosciuta dalla critica italiana per serietà di impegno e partecipazione a importanti kermesse espositive, «è rimasto fedele a una ricerca artistica fondata sul vero naturale».
Rapito dallo stupore del paesaggio, dedito all’accurata e lenta osservazione dello stesso, ne ha restituito l’incanto e l’armonia in tante sue opere. «Ispirato dal palpito poetico della natura, che si riverbera nei titoli assegnati ai dipinti, Pazzini appare quasi un Morandi ante litteram che, al posto dei volumi geometrici delle bottiglie, ha studiato e riproposto con una tecnica sapiente, gli spazi agresti della Romagna meridionale». E la sua pittura non si nutre solo di paesaggi, Pazzini è anche abile ritrattista e accurato illustratore.
La vita
Lasciata Verucchio a 18 anni per studiare a Roma all’Istituto di Belle Arti, mentre frequenta le lezioni vince premi e coltiva attestati. A 23 anni lavora presso lo studio del noto Dante Paolocci e realizza disegni per la rivista “Illustrazione italiana”. Nel 1883 lavora con Sacconi al bozzetto per il concorso dell’Altare della patria a Roma. Due anni dopo diviene uno degli scolari più devoti di Nino Costa. A 40 si sposa e due anni dopo, nel 1898, nasce il suo unico figlio Adalberto, che diverrà docente di Storia della medicina all’Università di Roma. Nel 1899 partecipa alla Biennale di Venezia, manifestazione a cui prende parte a ogni edizione fino al 1924. Muore a Verucchio, dove ha comprato un podere con casa colonica, nel 1937.
Le opere del catalogo
Il criterio di ordinamento delle opere è tematico, è quindi suddiviso in “Ritratti e figure”, “Paesaggi e vedute” (Romagna, Roma e Lazio, Umbria, Toscana, Marche e altri luoghi), “Nature morte” e “Grafica, bozzetti, gouache, disegni”. Nel catalogo non vi è racchiusa l’intera produzione conosciuta che è più vasta, soprattutto per quanto attiene la parte grafica, ma è stata operata una scelta privilegiando la qualità. Le fotografie realizzate ad hoc sono di Gianni Donati (Rimini) e Alessandro Vasari (Roma), alcune immagini sono state fornite dai musei che le custodiscono.
La critica
Assai ricca la raccolta di stralci di testi critici sull’artista verucchiese, che vanno dal 1907 al 2012. Tra gli estensori gli studiosi di primi del ’900 fino a quelli contemporanei.
In occasione della mostra personale del 1922 a Milano, Bencivenga scrive: «Dalla scuola del Costa l’arte di Pazzini conseguì qualità definite (…) il paesaggio italiano viene celebrato nella sua bellezza più varia e più pura, con animo commosso, con visione schietta».
Nel 1930 Bedeschi in “La Piè”, nel suo testo in cui presenta gli artisti romagnoli alla 17ª Biennale di Venezia, parla di Pazzini come di «una gloriosa bandiera dell’Ottocento che non ripiega e che fa sentire alta e forte la sua ragione di vita in mezzo al dilagare di tanti tentativi». Nella “Storia dei pittori italiani dell’Ottocento” di Somaré, (1928) si legge dell’artista che vive fra Roma e il suo paese natio, questa definizione: «Unico allievo degno di Nino Costa, il solo che lo ricordi liberamente nella sua pittura senza ripeterlo».
Oppo e Pasini
Nel ’37, Oppo, su “La Tribuna” dopo aver analizzato l’opera parla della sua vita «parsimoniosa e francescana», e dell’uomo «fattosi tutto solo che ama leggere grandi poeti e mettersi a contatto con loro». Nel ’79 Pasini nel volume a lui dedicato riferisce di «un introverso, un solitario, un romantico spiritualista che disdegnò sempre i facili effetti veristi e le monumentali e spesso volgarmente materialistiche composizioni dell’accademismo storico».
Secondo lo storico dell’arte riminese, la fortuna del pittore toccò il massimo culmine negli anni fra il ’35 e ’38 e non era «partecipe della retorica di quegli anni, non era un sentimento retorico che lo muoveva ma il desiderio di cogliere nel motivo naturale un soffio di poesia».