Pasquale D'Alessio e "Il suo annuncio, il tuo tempo"

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“La parola sorge, avverte quando hai bisogno di lei, cerca e mette il seme”, così il poeta, drammaturgo e regista Pasquale D’Alessio descrive il suo sentire poetico, il suo volere compositivo che sgorga da quando era ragazzo. Oggi alle ore 16.30, al teatro “Marilena Pesaresi” di San Lorenzo in Correggiano, presenta il suo ultimo poema, titolo “Il suo annuncio, il suo tempo” (Capire Edizioni collana Carta Canta). Affiancheranno l’autore Ennio Grassi, Renzo Casadei, Roberto De Grandis e con la chitarra Giulio Zannoli.

D’Alessio, che vive a Riccione, dove è stato tra i fondatori dell'Associazione Ilaria Alpi di cui ha anche ricoperto il ruolo di presidente, è nato a Somma Vesuviana, terra che ha lasciato giovanissimo ma che si porta dentro e dove torna spesso. In lui Rondoni trova «una maturità artistica rara nella poesia contemporanea».

Qual è il suo rapporto col mistero?

«Nel mistero ci sto dentro, è un po’ la chiave di volta di un percorso di vita; l’ho dovuto affrontare e ho capito che per viverlo bisogna starci dentro. È anche un metodo; una cosa grande che ci fa crescere, diventare uomini. Luisa, mia moglie è andata via quando nostra figlia era incinta di 3 mesi e per lei diventare nonna era un desiderio grande, io per non far diventare la morte un passaggio normale, ho dovuto vivere questo mistero».

Mistero richiama anche la parola fede, lei ha il dono della fede?

«Nei confronti della fede sono sempre in cammino. I conti con la fede li ho fatti subito, a un anno e mezzo di età, e mi sono rimasti sulla pelle, (ero ammalato, mi cambiarono il sangue e mia madre pregò intensamente)».

Amore e morte nella sua poesia si toccano, sono stati il grande amore e insieme il grande dolore della perdita a muovere la sua parola poetica?

«Si, certo. Il primo libro di poesie è nato nel 2009 dopo la morte di Luisa. La parola è un po’ come il dolore, lo smuove, e con esso ha familiarità. Questo è il settimo libro che ho scritto e ne ho sentito l’urgenza non per fare un lamento ma per raccontare un percorso di vita».

Lei narra poeticamente la malattia, il dolore fisico, lo strazio delle cure, come ci riesce?

«Se ti metti con onestà davanti alla parola, riesci a raccontare anche il dolore provato e i suoi aspetti».

Quali sono i momenti che scatenano il flusso compositivo?

«Direi tre situazioni che in questo poemetto ci sono tutte. Primo: nulla di Luisa deve diventare ricordo ma lei deve continuare ad essere presente. Secondo, volevo restituire ai nipoti delle testimonianze attraverso un rapporto d’amore. Terzo, la parola nel bene e nel male è onesta, sa da dove viene, non si nasconde, la parola è!».

Rondoni riferendosi alla sua poesia parla di “atletismo dello spirito che chiama, provoca il lettore alla partecipazione”, tema ripreso da Lauretano nella postfazione sottolineando che anche lei ha trovato in altri autori questa condivisione e li ha accolti.

«Si, apro alcuni versi con quelli di altri in cui mi sono ritrovato in pieno. Ho voluto testimoniare la condivisione con la parola altrui che mi ha tenuto compagnia. Tra questi ho riportato il brano di un’intervista a Dori Ghezzi perché quell’intensità da lei descritta l’ho provata anch’io, ciò di cui lei parla è successo anche a me».

Come descriverebbe la necessità di scrivere?

«La scrittura mi ha sempre aiutato, perché la parola è un mondo a se, è un’emozione meditativa».

Per lei la poesia è una risposta al senso di piattezza e precarietà?

«La poesia tende a farti stare di più con te stesso (e non sarebbe male), imparando giorno per giorno quei passaggi che aiutano a conoscersi. In una poesia Emily Dickinson scrive “senza la mia solitudine sarei stata più sola”».

Cosa suggerisce per avvicinarsi alla poesia?

«Uso le parole di Neruda: “Vai in riva al mare, cammina e senti le onde del mare”; e quelle di Visconti: “Si potrebbe passare la vita ad ascoltare il suono del mare”».

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