Parlando di Fellini a Giacarta in Indonesia

RIMINI. Sono stata invitata a parlare di Federico Fellini a Giacarta. Nell’ambito di un Festival del cinema che quest’anno aveva come titolo “Colors of love”. Come potevo non andare? Fellini, il cinema, l’amore. Amore al quadrato. Rimini e Giacarta, mi sono subito apparse così vicine, seppure lontane.
Plaza Indonesia
Ma andiamo con ordine. Nella capitale dell’Indonesia, fanno da cinque anni un festival che si chiama “Plaza Indonesia film festival”. Si chiama così perché si tiene nelle sale cinematografiche all’ultimo piano del Plaza Indonesia, il più lussuoso centro commerciale di Giacarta, dove chi può permetterselo può andare ogni santo giorno o nei fine settimana, perché è lì che può trovare tutto quello che non troverà mai in città: negozi, dalle grandi firme alle catene, bar, ristoranti, centri estetici, eventi ricreativi, giochi per i bambini. Tutto.
L’invito è arrivato dall’Istituto di Cultura Italiana a Giacarta, diretto da qualche mese da Maria Battaglia, attivissima nell’organizzare eventi, iniziative, per diffondere la cultura italiana all’estero. In occasione del Centenario felliniano, il “Plaza Indonesia film festival” – diretto da un bel gruppo di giovani capitanato dalla poco più che trentenne Sugar Nadia Azier – ha così costruito un programma Fellini che oltre all’incontro a cui ero stata invitata, ha incluso anche la mostra di foto dal set di “8 e ½” del fotografo Paul Ronald, a cura di Antonio Maraldi, e la proiezione de “La dolce vita” e “8 e ½”.
Parlare di Fellini a Giacarta
Cosa dire? Cosa raccontare? Cosa sapranno già? L’esperienza è stata illuminante. Fellini parla, eccome! Parla ai giovani spettatori, più o meno cinefili, più o meno imbevuti di cultura anche occidentale. E riesce a parlare con alcuni dei suoi capolavori più “moderni”. Anche in un Paese in cui la maggior parte della popolazione, anche quella più istruita, ignora della nostra cultura pure il nome di Dante, su Leonardo si sono fatti di recente un’idea con le iniziative dell’istituto di Cultura Italiana, e del cinema italiano contemporaneo, i nomi che conoscono sono quelli di Sorrentino, un po’ Garrone, molto Benigni. Solo chi ha fatto studi specifici non ignora e ha come riferimento i vari Rossellini, De Sica, Pasolini…
È’ il film “La strada” che la mia giovane intervistatrice Sofia Setyorini («Mio padre mi ha chiamata così perché è un fan di Sofia Loren!») dice di avere già visto di Fellini e di cui è rimasta affascinata. E ovviamente su Giulietta Masina – sul personaggio di Gelsomina, ma anche sulla bizzarra prostituta Cabiria – il pubblico del talk è ansioso di sapere. Poi sì, c’è “La dolce vita”, «con tutte quelle bellissime attrici», la struttura narrativa che cambia, anzi salta, non siamo più in zona neorealismo e il cinema neorealista italiano è invece quello che più conoscono e sentono “familiare” della cinematografia nostrana in questa parte di mondo. Sofia è particolarmente interessata a sapere perché Fellini abbia voluto inserire quell’episodio così cruento, il suicidio di Steiner e l’uccisione dei figli.
Sempre a proposito de “La dolce vita”, una giovane che ha visto il film la sera prima al Plaza, si mostra disorientata, si interroga sul perché «fare un film su una persona che passa di continuo da uno show all’altro, non è mai soddisfatto della propria vita…» e osserva però che «Fellini, pur con un film di sessant’anni fa, mi sembra raccontare qualcosa che sembra parlare dell’oggi che stiamo vivendo». «Hai descritto in maniera perfetta perché questo film continua ad essere così importante» mi viene da rispondere. E allora si scatenano ancora di più le domande, le curiosità.
Proiezione unica
Se poi è “straniante” dire dell’importanza del sogno in “8 e ½”, accennare a Fellini e la psicoanalisi, le distanze sembrano immediatamente ridursi quando racconto gli episodi dell’infanzia, e poi della Saraghina, infine del carosello finale, dell’ultima sequenza sparita. Il giorno dopo il talk, nella sala grande a vedere il film il pubblico è numeroso e attento. In gran parte entusiasta di avere assistito ad una proiezione unica: «Quando mai capita di vedere questi film al cinema qua da noi» mi fa notare Quissera el Thirfiarani, coordinatrice del settore eventi all’Istituto di Cultura. La direttrice del Festival, Sugar Nadia Azier, si dice entusiasta: «Siamo molto contenti di avere potuto dedicare questo evento a Fellini, qua nel cuore della capitale e non in un cinema di quartiere, ma in questa sala del più importante Mall (centro commerciale, ndr) di Giacarta».
Tra il pubblico anche un giovane ingegnere indonesiano che si presenta come un «grande fan di Fellini». «A gennaio ero in Italia e saputo che c’era una mostra in corso sono venuto a Rimini» mi dice. Piccolo il mondo. Racconto che nella mia città inaugurerà entro l’anno il Museo internazionale dedicato al Maestro. Qualcuno già sogna di un viaggio futuro.
Nel frattempo, su Federico Fellini sta realizzando un cortometraggio il regista indonesiano Wregas Bhanuteja, classe 1992, già premiato per alcuni suoi corti ai festival di Berlino e di Cannes.

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