Paola Bianchi, la danza nella rete Nuove posture per il proprio corpo

GEMMANO. Si può fare a distanza e quindi non si ferma la ricerca culturale di Paola Bianchi, che da più di un anno sta indagando la trasmissione di archivi di posture attraverso la parola descrittiva. Ai tempi del coronavirus, l’artista torinese che vive da tempo in Romagna – a Marazzano di Gemmano – propone un nuovo esperimento partecipativo lanciato sui social. Chi ne farà richiesta riceverà la descrizione audio di una postura, la persona dovrà assumerla con il proprio corpo, scattare una foto e inviarla indietro. Le foto delle posture delle persone che parteciperanno andranno a creare un video e diventeranno parte di un archivio fondamentale per proseguire la ricerca intorno alle posture del corpo.
Paola, qual è l’idea che sta alla base di questa sua ricerca?
«La ricerca che porto avanti da alcuni anni consiste nel trasmettere le posture, e quindi la danza, attraverso la parola descrittiva. Il progetto Elp (Ethos, logos, pathos) è partito da una domanda che ho posto via mail a una quarantina di persone: quali sono le immagini pubbliche che si sono impresse nella tua retina e che anche dopo molto tempo continuano a essere vive nella tua memoria visiva? Immagini che hanno segnato in qualche modo una svolta nel proprio sentire, pensiamo ad esempio al corpo di Aldo Moro nel bagagliaio, oppure a un’icona come Marilyn Monroe. Alla fine ne ho raccolte più di 350 e le ho virate in bianco e nero, sia perché volevo concentrarmi sulla forma del corpo, sia perché il bianco e il nero sono, come dice Godard, i colori della morte. Ho operato poi una selezione, le foto che ricorrevano più di due volte le ho scelte tutte, altre le ho scelte in base a un mio sentire e ho iniziato a lavorare su queste immagini incarnandole. Ho creato il solo Energheia che avrebbe dovuto essere presentato a Rimini ad aprile – stiamo ora lavorando per spostarlo a maggio o appena si potrà. Energheia non nasce dalla copiatura/imitazione dell’immagine, ma da un lungo processo di analisi dello spazio, della tensione, delle forze, del ritmo generato da ogni azione immortalata, dall’indagine del prima e del dopo, da quello che c’è oltre l’immagine. Il mio modo di assumere le posture non corrisponde più perfettamente all’originale».
Cos’è l’archivio di posture?
«Ho registrato in voce la descrizione di ogni postura assunta, con il tempo ho collezionato un vero e proprio archivio di descrizione di posture e il mio modo di creare coreografie ora è legato a questo. Sto lavorando con un gruppo di dieci giovani danzatori che vedrà la creazione dello spettacolo Ekphrasis, che debutterà in estate. Abbiamo fatto una prima residenza a luglio dell’anno scorso all’Arboreto di Mondaino e una seconda sarà a giugno di quest’anno, e anche a loro consegno una postura, poi un'altra, poi un'altra finché, attraverso un processo personale di incarnazione e di ricerca dell’essere nella scena, creiamo la coreografia. Ovviamente il modo di assumere una singola postura è completamente diverso di persona in persona, questo vale sia per i danzatori professionisti sia per i non professionisti. La cosa interessante è vedere come queste posture entrano nei corpi e come i corpi le restituiscono».
Da dove nasce l’idea di legare la postura alla parola?
«Volevo portare la danza in radio e alle persone non vedenti, far vedere la danza attraverso le orecchie. Lo scorso anno a Genova ho poi lavorato con un gruppo di non vedenti proprio a partire dalle indicazioni orali».
Come prosegue la ricerca?
«Il progetto Elp continua a crescere e a creare nuove strade. In questo periodo sto raccogliendo le immagini provenienti da persone straniere che vivono in Italia per creare il solo OtherNess che andrà a generare un nuovo archivio e nuove posture da trasmettere. Avrei avuto un incontro con Casa Madiba e altre organizzazioni in questi giorni, ma ora è tutto rinviato. La consonanza che è data dallo stare insieme porta un passaggio tra i corpi, posture che si tramandano di corpo in corpo, fortemente legate alla cultura in cui si sviluppano e che tendono a ibridarsi nell’incontro. La cultura è un movimento continuo di entrate e uscite, di acquisizioni e lasciti e mai come in questo momento il mondo si sta mescolando in uno stimolante melange di colori. Le immagini entrano dentro di noi attraverso lo sguardo, si sedimentano nei corpi e modificano il nostro modo di muoverci e di stare. Ad esempio, mi ricordo che negli anni Ottanta io ero solita vestirmi con anfibi e jeans, insomma non ero vestita da signorina, però per un certo periodo, e ci sono anche delle foto, stavo seduta non solo con le gambe incrociate ma doppiamente incrociate, con il piede dietro alla caviglia opposta. Il modello della “signorina per bene” contro cui combattevo, alla fine era entrato nel mio corpo».
Questo nuovo esperimento digitale, in cui chiede a chiunque voglia partecipare di assumere le posture del suo archivio, come sta andando?
«Ho lanciato sui social una chiamata pubblica il 7 marzo, quando le zone rosse in Italia erano ancora circoscritte, ma i luoghi della cultura erano già chiusi per decreto fino al 3 aprile e quindi il mio lavoro interrotto. Per ora i partecipanti sono più di 150, dall’Italia e dall’estero. Questo esperimento mi serve per ampliare la ricerca, per capire come una stessa indicazione verbale può essere interpretata, ma non nego che aiuta e mi aiuta anche a vivere meglio questo momento. Avere un contatto con le persone, uno scambio di immagini in cui ci si mette in gioco, in cui si espone il proprio corpo, in questo momento è decisamente importante per tutti».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui