Oreste, il mio Zampanò romagnolo

È il racconto di una storia vera quella de “L’Oreste. Quando i morti uccidono i vivi” in scena questa sera al teatro Galli di Rimini. Una tragedia dalle atmosfere fiabesche. «Una pièce dura, ma tenera, con tocchi felliniani».

Dopo il successo della passata stagione, riprende la sua tournée questo spettacolo scritto da Francesco Niccolini, interpretato da Claudio Casadio e diretto da Giuseppe Marini. Arriva a Rimini, per poi essere ospitato al teatro Diego Fabbri di Forlì (2-4 dicembre) e nei mesi successivi far tappa anche in altre città romagnole come Meldola, Faenza, Ravenna, Imola e Lugo.

Scritto appositamente per l’attore teatrale e cinematografico Casadio, questo spettacolo si dispiega come un rullino di ricordi, emozioni, un’alternanza di momenti drammatici e teneramente comici. In primo piano l’espressività e la corporalità del protagonista, che dialoga in maniera onirica e surreale con i fantasmi del suo passato, amici immaginari e visioni che prendono la forma di fumetti. Un graphic novel theatre che diventa racconto e animazione di frammenti di vita, voci del passato e del presente, sogni, paure e desideri.

Oreste è chiuso in un manicomio. Abbandonato da bambino, ha trascorso la vita tra orfanatrofi e riformatori. Sono trent’anni che non esce. Abita uno spazio angusto insieme agli incubi di sempre: la morte della sorella, la partenza del padre per la guerra in Russia, la morte violenta della madre, la mancanza di affetto e il rifiuto ai primi segni di disturbi psichici. Nonostante questo è allegro, scrive alla fidanzata conosciuta a un «festival per matti», parla con i dottori, con Ermes, il suo invisibile compagno di stanza, e svela sé stesso.

«Il pubblico entra in empatia con Oreste – spiega Claudio Casadio – ed entra nel suo mondo fatto di ossessioni che si materializzano. Oreste è tenero, ma in realtà anche molto forte e caratterizzato da contrasti. È una sorta di Zampanò, dall’imponente fisicità e dall’evidente cadenza romagnola».

Come ha affrontato questo personaggio?

«È stato semplice, perché mi calza a pennello, mi appartiene molto e, collaborando al testo con Niccolini, ho inserito miei ricordi personali. È stimolante lavorare con autori viventi e creare insieme testi nuovi, contemporanei. Il teatro e le persone hanno bisogno anche di questo».

Quanto è importante la fisicità in questa pièce?

«Molto. Mi metto letteralmente in mutande e canottiera davanti al pubblico. Un omone che diventa un po’ bambino, e questo rende Oreste particolarmente commovente. In questo personaggio c’è tanto anche delle mie memorie d’infanzia e per questo lo spettacolo diventa una sinfonia».

Penna e acquerelli tracciano presenze e ambientazioni: il mare di Punta Marina, Imola, Bagnacavallo. C’è tanta Romagna allora?

«Sì, una Romagna che va oltre il lato cabarettistico e un po’ stereotipato. Una terra fatta di contrasti, come ha raccontato Fellini, commovente e autoironica allo stesso tempo, poetica e capace sempre di sorprendere».

Inizio alle ore 21. Info: 0541 793811

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