Opera a Ravenna, "Aroldo" al teatro Alighieri

Archivio

Dopo aver debuttato qualche mese fa al teatro Galli di Rimini – quello stesso che nell’agosto del 1857 ne ospitò la prima rappresentazione – questa sera Aroldo approda, sempre sotto la direzione di Manlio Benzi, al teatro Alighieri. Non sono in tanti a conoscerne musica e soggetto, ché si tratta di uno dei titoli cosiddetti “minori” del catalogo verdiano, e anche tra questi di uno dei meno rappresentati. Anche meno di Stiffelio, di qualche anno precedente (1850) e del quale Aroldo passa per essere nient’altro che un rifacimento.

La trama infatti, come in quello, ruota attorno a un tradimento coniugale seguito dal perdono: nel primo il ruolo del titolo è un pastore protestante dei primi dell’Ottocento, nel secondo è invece un cavaliere sassone di ritorno da una crociata, ben sei secoli prima, nel Duecento. Uno slittamento temporale che se all’epoca salvò Aroldo dalla censura, sembra però privarlo di verosimiglianza e di efficacia drammaturgica, relegandolo ai margini del repertorio e dei cartelloni.

Non la pensa però così Emilio Sala, musicologo e professore alla Statale di Milano, nonché (insieme a Edoardo Sanchi) regista di questa nuova produzione di Aroldo. Che sottolinea con forza come si tratti proprio di «un tentativo di rivalutare un titolo negli ultimi decenni ingiustamente bistrattato dalla musicologia; un titolo che pur nascendo come rifacimento di Stiffelio accoglie l’esperienza verdiana maturata negli anni che da esso lo separa, con la trilogia popolare e con Simon Boccanegra nel quale già si evidenzia l’inusuale tema del perdono. E non si tratta di semplici varianti perché, oltre alla qualità musicale e all’aggiunta dell’intero quarto atto, è l’impianto drammaturgico a cambiare: per esempio nell’apertura affidata non al padre spirituale del protagonista ma al tormento interiore della moglie adultera, Mina; e nel lieto fine non più legato al volere divino, ma alla speranza umana, all’autenticità di un sentimento vivo che anche musicalmente (basta un semplice passaggio dal fa minore al fa maggiore!) contagia tutti i personaggi e porta al perdono e alla speranza».

Va detto che se uno dei difetti dell’“Aroldo” è l’anacronismo artificioso della collocazione medievale, ecco che questo allestimento lo proietta invece nel cuore del Novecento, in pieno regime fascista, tra le guerre coloniali degli anni Trenta e il bombardamento che nel 1943 distrusse Rimini e il suo teatro, alle cui vicende l’ambientazione è strettamente legata.

«Sì, l’azione è trasportata in un passato recente o, meglio, in un passato non del tutto passato, e che ancora ci chiama in causa, bastano le cronache a confermarlo. E se è vero che ognuno di noi, attraverso genitori o nonni, ha esperienza seppure indiretta di quegli anni, abbiamo unito al dramma privato dell’opera la dimensione collettiva. In un contesto storico ideale per raccontare le vicende del teatro riminese, che diventa così una sorta di “personaggio” dell’opera stessa, mentre dopo la fuga dal bombardamento l’azione si sposta in un borgo di fondazione fascista come tanti ce ne sono nei pressi della Romagna, e dove Mina diviene protagonista assoluta di questo Aroldo 2.0».

Questa sera a introdurre l’opera risuonerà una voce che il pubblico ravennate conosce bene, quella dell’attrice Ermanna Montanari.

«Ecco, la sua sarà appunto la voce di Mina, che da vecchia torna bambina rievocando l’ultima opera vista in teatro, i bombardamenti e il sipario salvato, poi il marito tornato dall’Africa con l’amico ascaro e lo scandalo del divorzio... non solo ci proietta in quel tempo, ma anche nella modernità del suo personaggio».

Spesso però scelte registiche che attualizzino il soggetto di un’opera rischiano di prestarsi a critiche, così come la sostituzione di parole nel libretto...

«A dire il vero, sono un professore e un dramaturg, non un regista, è un ruolo questo che ho affrontato quasi con imbarazzo e certamente con umiltà. Credo però che l’opera sia da considerare non come un’entità immutabile bensì come un “processo” in cui il senso va sempre riattivato attraverso l’interpretazione. Mi ritengo un fanatico verdiano, ma rispettarne il dettato non significa feticizzarlo, al contrario... senza operare alcun taglio abbiamo cambiato pochissime parole così da rispettare il tessuto drammaturgico. In ogni caso, come per tutti i grandi, la musica di Verdi è sempre attuale, e noi possiamo solo prenderne atto e farlo diventare nostro».

Lo spettacolo inizia alle 20.30; la replica di domenica 16 gennaio alle 15.30.

Info: 0544 249244
www.teatroalighieri.org

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui