Omicidio Minguzzi. Un carabiniere alla madre: "Indagini ostacolate"

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Durante i mesi dell’indagine per trovare i responsabili del rapimento e dell’omicidio di Pier Paolo Minguzzi, uno degli investigatori ravennati che seguiva il caso si confidò con la madre del 21enne di Alfonsine sequestrato e ucciso nell’aprile del 1987: «Mi disse che gliela metteva tutta, ma trovava degli ostacoli all’interno della caserma». La signora Rosanna Liverani, chiede di poter parlare davanti alla Corte d’assise, delusa dai vuoti di memoria dell’ufficiale che all’epoca seguì le indagini sull’omicidio del figlio, chiamato ora a deporre nel processo che vede imputati gli ex carabinieri Orazio Tasca e Angelo Del Dotto, accusati insieme all’idraulico del paese Alfredo Tarroni di avere organizzato il sequestro di persona a scopo di estorsione, culminato con l’assassinio del ragazzo, ai quei tempi militare di leva a Bosco Mesola. La madre di Pier Paolo, oggi 87enne, fa il nome del maresciallo Luigi Bargelletti: «È il carabiniere che mi è stato più vicino. Mi disse che avrebbe fatto di tutto finché era in vita per scoprire chi avesse fatto del male a mio figlio». Fu durante uno dei colloqui in caserma, che il maresciallo riferì alla donna di presunte “resistenze” interne nell’Arma. Circostanze che purtroppo Bargelletti, nel frattempo deceduto, non potrà chiarire: «Quando morì d’infarto – continua la madre di Minguzzi – la moglie mi scrisse un biglietto, dicendomi, “mio marito non ha potuto mantenere la parola data”».

Il capitano sotto torchio

La reazione della signora Liverani è dovuta alla deposizione del superiore di Bargelletti, il capitano Vincenzo Tallarico, l’ufficiale ora in congedo che il 16 dicembre dell’87 prese il comando della Compagnia di Ravenna sostituendo il capitano Antonio Rocco. Erano ormai trascorsi oltre 7 mesi dal Primo maggio, giorno in cui il cadavere del 21enne riaffiorò dal Po di Volano, 10 giorni dopo il rapimento. Il sostituto procuratore Marilù Gattelli chiede lumi sugli atti a sua firma, nei quali il capitano dispose per circa un anno e mezzo intercettazioni e registrazioni di cassette per identificare il sedicente “Alex”, misterioso spasimante che dopo l’omicidio contattò la fidanzata della vittima sostenendo di essere a conoscenza dei fatti. «Lei scriveva che c’erano elementi utili per proseguire le intercettazioni, ma senza specificare quali», gli fa notare il pm. I ricordi del teste sono annebbiati: «Le intercettazioni le seguiva Bargelletti – risponde –, suppongo che il Reparto operativo facesse il resto». Il presidente della Corte, Michele Leoni (a latere il giudice Federica Lipovscek) lo invita a fare uno sforzo di memoria, non convinto che i due reparti non avessero «un tavolo comune per confrontarsi sulle indagini». Intervengono anche i legali della famiglia Minguzzi, gli avvocati Luca Canella, Paolo Cristofori ed Elisa Fabbri: possibile – chiedono al teste – che non abbia mai pensato di mettere in relazione l’omicidio di Pier Paolo con i tre odierni imputati, arrestati due mesi dopo e poi condannati per l’analoga estorsione un’altra ricca famiglia di Alfonsine, i Contarini, finita con l’agguato in cui fu ucciso il carabiniere Sebastiano Vetrano? «Può essere – ribatte il capitano – che in Compagnia si pensasse che i due episodi fossero collegati, ma non abbiamo mai avuto elementi, e quando sono arrivato io il grosso delle indagini era già stato effettuato dal Reparto Operativo». Eppure, gli fa notare il pm, degli atti di quel reparto non vi è traccia, a differenza di quelli a sua firma. L’ufficiale non trova risposta nemmeno quando gli si chiede di riferire in cosa consistesse quel “grosso delle indagini” seguite in apparenza a compartimenti stagni dai colleghi dell’Arma e dall’Anticrimine di Bologna. Indagini che «si potevano ingrossare ancora», rimarca il giudice incalzandolo: «È sicuro di quello che ha detto? C’erano stati due omicidi e voi ve ne stavate lì, non vi interessavate?».

L’appello della mamma

E’ un botta e risposta che ferisce la madre del 21enne, da ormai 35 anni in attesa della verità. La confidenza che le fece all’epoca il maresciallo, dichiara, «pensavo che non fosse importante, ma oggi mi sono trovata di fronte a una persona che doveva indagare e che forse non era all’altezza, o forse, come disse Bargelletti, ha trovato degli ostacoli dentro». Il suo intervento si chiude con un appello alla Corte: «Io sono qui, presidente, per pregarla di mettercela tutta perché io voglio capire chi è che ha avuto coraggio di fare una cosa così a mio figlio».

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