Omicidio di Castel Bolognese: Orlando non ha lottato

Faenza

Non ci sono segni di colluttazione sul corpo di Felice Orlando. Nulla che faccia pensare a un’aggressione o a una lotta, prima di essere freddato con due colpi di fucile esplosi alle sue spalle da un assassino che pare svanito nel nulla. Un ulteriore dettaglio, quello emerso dall’autopsia sul cadavere dell’operaio 49enne trovato senza vita domenica mattina a pochi passi da casa, nelle campagne di Castel Bolognese, che infittisce il mistero sulla sua morte.

Le certezze

È chiaro dai primi risultati dell’esame affidato all’anatomopatologa Federica Bortolotti, che l’arma del delitto è un fucile da caccia dal quale sono partiti due colpi: quello fatale alla testa e uno ulteriore all’altezza della schiena. La dinamica, tuttavia, resta tutta da ricostruire. A partire dalla sequenza degli spari, esplosi a distanza ravvicinata ma non a bruciapelo.

Vittima e killer si conoscevano?

L’autopsia consentirà anche di risalire all’orario esatto della morte, avvenuta probabilmente nella serata di sabato. L’assassino ha trovato nel buio un valido alleato; nascondendo il corpo di Orlando alla vista dei familiari che lo stavano cercando preoccupati non vedendolo rincasare, gli ha fornito il tempo necessario per allontanarsi portando con sé il fucile con il quale il cacciatore era uscito di casa, a metà pomeriggio. Una scelta rischiosa, che sarebbe valsa quasi come una confessione qualora fosse incappato in un controllo. Il motivo di tale decisione sposta nuovamente l’interrogativo sulla dinamica dell’omicidio. Forse il killer ha usato proprio il calibro 12 che il 49enne aveva portato con sé, e temendo di avere lasciato impronte l’ha fatto sparire. Ma se come emerge dall’autopsia non c’è stato uno scontro fisico, come è riuscito a sottrarre l’arma? Potrebbe avergliela strappata di mano senza violenza, ma non è nemmeno escluso che sia stato lo stesso Orlando a consegnargliela, forse pensando di trovarsi in compagnia di una persona fidata.

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