Omicidio Bravi, uccisa a Ravenna per un "corto circuito emotivo"

«È stato un delitto d’impeto, in cui la rabbia ha assunto un fattore determinante». Per il perito Elisa Bravi è morta perché ha reagito all’aggressione del marito. Si è difesa durante la violenta discussione con Riccardo Pondi, avvenuta in camera da letto la notte tra il 18 e il 19 dicembre 2019 nell’abitazione di Glorie di Bagnacavallo. Lo ha colpito. E questo ha innescato nel coniuge «un corto circuito emotivo che ha impedito che l’azione delittuosa si fermasse».

Eppure il 41enne quella drammatica notte era capace di intendere e volere, «ha avuto più di un’occasione per riflettere e fare uno stop, ma questo non si è verificato». È una dinamica psicologica sottile quella descritta ieri dal professor Michele Sanza, psichiatra nominato dalla Corte d’assise nel processo che vede il 41enne accusato di omicidio volontario pluriaggravato. La sua conclusione, al netto delle differenze interpretative concesse da una scienza complessa qual è quella che studia la mente umana, l’hanno condivisa quasi tutti i consulenti: «Gli elementi psicopatologici raccolti non portano ad alcun giudizio di parziale incapacità di intendere e volere». Per lo psichiatra, Pondi era depresso, geloso e aveva paura di essere abbandonato dalla moglie 39enne, ma era in sé quando le mise le mani al collo, stringendo fino a toglierle il respiro. La durata del gesto ne darebbe prova ulteriore, ha rimarcato anche il dottor Roberto Zanfini, consulente del sostituto procuratore Lucrezia Ciriello: quella presa «prolungata nel tempo è indicatore di volontarietà dell’azione».

Visite in carcere

La perizia è stata frutto di cinque incontri con l’imputato, avvenuti in carcere. E attribuisce una data precisa al declino del rapporto di coppia: il 28 ottobre, quando Pondi – dopo che un’amica lo aveva informato di avere visto la moglie davanti a un ristorante con un altro uomo – contestò alla consorte di avere una relazione con il datore di lavoro. «Da lì in avanti è peggiorato il suo stato di prostrazione emotiva, con aspetti depressivi, sintomi d’ansia e insonnia», in un quadro che l’esperto ha definito «disturbo depressivo reattivo».

Paura e ansia. È lo stato dominante che attanaglia Pondi la mattina 18 dicembre, quando nel tragitto verso Bologna per l’ennesima giornata di addestramento per entrare nel corpo dei vigili del fuoco, sospetta di essere seguito da un’auto e pensa di essere stato avvelenato dalla moglie con il monossido. Il perito parla di un attacco di panico, «che non ha valore ai fini di una parziale incapacità di intendere e volere al momento dell’omicidio». Così anche il suo «atteggiamento ambivalente» verso Elisa, oscillante fra adorazione e disprezzo, rassicurazione e recriminazione, sarebbe prova dell’assenza di una forma di delirio, che secondo lo specialista avrebbe portato a canalizzarsi verso l’una o l’altra direzione. Concordi gli altri consulenti delle parti civili: lo psicanalista Roberto Moretto incaricato dai legali dei familiari della vittima (assistiti dagli avvocati Annalisa Porrari e Giuseppe Della Casa), Ermanno Arreghini per l’Unione donne in Italia e l’associazione Dalla Parte dei Minori (avvocati Sonia Lama e Maddalena Introna), Vittorio Melega per il Comune di Bagnacavallo e l’Unione dei Comuni della Bassa Romagna (rappresentati dall’avvocato Manuela Liverani). Sarà la corte presieduta dal giudice Cecilia Calandra (a latere la collega Antonella Guidomei) a dover valutare la rilevanza penale di quel “corto circuito”. Motivo per cui si sono susseguite le domande della presidente volte a chiarire il peso del «parziale arresto della capacità di riflessione» descritto dal perito ripercorrendo gli istanti del delitto.

Le espressioni «prendiamo atto con stupore», «sconcertante» e «siamo meravigliati», ricorrono spesso nelle osservazioni che il professor Renato Ariatti (pschiatra scelto come consulente dai difensori di Riccardo Pondi) ha messo nero su bianco nel documento depositato ieri dagli avvocati Ermanno Cicognani e Francesco Manetti alla Corte d’assise. Le conclusioni dello specialista sulle capacità dell’imputato al momento del delitto sono di segno opposto.

«Pondi ha avuto una reazione acuta paranoide», scrive, per poi aggiungere nella relazione che l’episodio avvenuto la mattina del 18 dicembre 2019, costato al 41enne il ricovero ospedaliero a Bologna con la convinzione di essere stato avvelenato dalla moglie Elisa, «non è ansia panica ma ansia psicotica».

Il medico ravvisa omissioni «rilevanti» nel documento depositato dal perito incaricato dal giudice, «nel riportare i passi del diario clinico del carcere», enfatizzando invece passaggi «più soft», testimoni di «una presunta normalità». E aggiunge che l’imputato posto a confrontarsi con la presunta malattia, tende a «un atteggiamento elusivo, dispersivo, minimizzante, tutt’altro che coerente ad una strategia difensiva». Poi affronta il tema delle paure e delle ansie manifestate prima del dramma, affermando che l’imputato «ebbe a manifestare un chiaro scompenso psicopatologico di natura deliroide». Non erano solo rabbia e gelosia, conclude, ma «una malattia configurante infermità, a cui va riconosciuto almeno un vizio parziale di mente».

Pondi vuole risarcire

Ieri, in chiusura d’udienza, i difensori di Pondi hanno depositato le volontà risarcitorie con le dichiarazioni del 41enne. Il documento chiarisce l’elenco dei suoi beni e la sua intenzione di risarcire (seppur parzialmente) consegnando i propri beni mobili e immobili ai familiari. Ha espresso inoltre il proposito di rinunciare all’eredità di Elisa Bravi (che verrebbe comunque revocata in caso di condanna). Fa parte di tale patrimonio anche la casa di Glori di Bagnacavallo, l’immobile che i coniugi avevano acquistato tramite vendita giudiziaria, assecondando il comune sogno di vivere in campagna; unica condizione posta dall’imputato, un prezzo minimo di 320mila euro. FED.S.

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