Oggi col Corriere il libro "Agli erbi dla Rumagna cuntadena"

Archivio

Nelle ultime settimane, nella rubrica “Andar per erbe”, abbiamo “assaggiato” su queste pagine un po’ del lavoro che è diventato un vero e proprio libro edito dal Corriere Romagna, da oggi in edicola con il quotidiano. “Agli erbi dla Rumagna cuntadena” è il titolo del volume scritto da Stefano Tellarini, Roberto Giorgetti e Maria Manuzzi che recupera e racconta la conoscenza antica, e le ricette, delle erbe spontanee in Romagna. Un argomento inesauribile, a legger del quale ogni volta si aggiunge un tassello di conoscenza che una volta veniva trasmessa oralmente nelle case e che oggi invece rischia di essere perduta. In questo libro si unisce la teoria alla pratica, i saperi dell’agronomo Stefano Tellarini alla sapienza culinaria del cuoco Roberto Giorgetti e di sua madre Maria Manuzzi, purtroppo scomparsa di poterlo vederlo pubblicato.

Stefano Tellarini, lei è un tecnico agricolo eppure si è appassionato di erbe che non richiedono la coltivazione ma che “infestano” i campi quanto i prati. Come è nato questo interesse per lei?

«Avevo conosciuto Roberto per una ricerca che stavamo facendo sulla biodiversità e in particolare sul pollo romagnolo, che lui allevava. Ero dunque a casa sua e a sentire i racconti suoi e della sua mamma Maria ho avuto chiaro che una serie di competenze stavano scomparendo, le persone che le custodivano, in genere persone oltre gli 80 anni, stavano sparendo. Allora gli ho detto: tu hai questa conoscenza diretta e pratica, io ne ho una teorica, mettiamoci assieme e raccogliamo quello che non è ancora stato scritto, affinché i romagnoli sappiano che gente in gamba erano i nostri antenati e soprattutto le donne. La competenza legata alla raccolta delle erbe è stata infatti spesso prerogativa delle donne, e veniva trasmessa solo oralmente. Per questo parlare di erbe spontanee è più complesso, e dunque secondo me anche più urgente».

Come è stato il lavoro che ha portato a questo libro?

«Io ho soprattutto ascoltato, e intanto registravo quello che raccontavano Roberto e la sua mamma. Io da topo di biblioteca trovavo magari alcune notizie nei libri, lui invece mi diceva “sì l’ho visto, si faceva così”, insomma le contestualizzava. Roberto è un libro dell’Ottocento vivente anche se è del 1952, secondo me certe cose le sa solo lui... Poi c’è stato il lavoro di ricerca sulle piante, di verifica, abbiamo lavorato circa due anni e mezzo. Quando il libro è stato pronto purtroppo Maria si è ammalata e uno dei sui ultimi gesti è stato scegliere la propria fotografia per la quarta di copertina. A quel punto dovevamo assolutamente trovare un modo di divulgare davvero quel lavoro e abbiamo incontrato la disponibilità del Corriere Romagna. La scelta migliore, crediamo che nessun altro possa dare a una pubblicazione così la diffusione migliore».

Durante questo lavoro ha scoperto cose che non sapeva?

«Ho scoperto un milione di piccole cose che non conoscevo. Ad esempio mi colpì a suo tempo il fatto che i contadini avessero paura che le pecore mangiassero erba medica e leguminose perché si gonfiavano e potevano morire. Per questo le leguminose nella tradizione non vengono raccolte. Oggi, molti che si occupano di foraging suggeriscono i germogli delle leguminose, ma per i romagnoli esiste un atavico sospetto, e ho capito la differenza fra l’ approccio salutistico di una pratica attuale e la tradizione. Un tempo le erbe non si cercavano per ragioni salutistiche ma per necessità e questo conferiva a questa pratica uno spessore culturale diverso».

Nelle pagine del libro è costante il richiamo al rispetto dell’ambiente, anche attraverso regole del “buon raccoglitore”. Una sorta di guida per imparare a guardare, e frequentare, i prati e i fossi in modo diverso.

«Io sono un tecnico di agricoltura biologica non potrei pensare di dare il via a un’orda di saccheggiatori. La raccolta delle erbe è una pratica soft, rispettosa. Con questo libro vorremo invogliare la gente a uscire, a interessarsi al gesto di tagliare la rosetta di un radicchio con la consapevolezza che quel gesto è stato fatto milioni di volte, e rifarlo con dolcezza. A me interessa suscitare una curiosità, per poi far guardare con occhi diversi quelle che si consideravano solo erbacce, ricordandosi delle persone che per migliaia di anni ha fatto questi gesti. Rifare quei gesti è un po’ un rito non religioso, e mentre mangiano poi, a casa, quelle erbe raccolte sarà bello essere contenti, tutti insieme, di trovarsi nel centro della propria cultura».

L’erba spontanea che preferisce?

«Il ragagiolo, crudo e in insalata, dolcissimo! Poi se me le prepara qualcun altro sicuramente le rosole in cassone, saporite, dolci e piccanti. Come le fa Roberto poi...».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui