Più lavoro non significa per forza miglior lavoro. È la lezione che il mercato dell’occupazione ha impartito l’anno scorso al Circondario e che si può trarre dai dati sul lavoro dipendente forniti dall’Agenzia regionale del lavoro.
Nel 2022 nel territorio imolese si è contato l’11% in più di avviamenti, cioè di attivazioni di contratti, rispetto al 2021, ma come spiega il responsabile del Centro per l’impiego di Imola Maurizio Milandri, «per un’analisi che riveli la qualità dell’occupazione bisogna approfondire, indagando alcuni fattori come, ad esempio, la percentuale dei tempi determinati e la loro durata, i contratti in somministrazione o i part time. Come in tutte le crisi e quindi anche in quella pandemica, l’impatto sul mercato del lavoro si vede almeno dopo 6 mesi, e si è sentito di più nel 2021. I livelli di occupazione del 2022 sono comparabili con quelli pre-pandemia ma in condizione di maggiore precarietà».
Le cifre
Da quando a Imola non è più attivo l’osservatorio economico del Circondario che elaborava una fotografia del mercato del lavoro non è semplice parlare con contezza di occupazione. Il rischio è di “dare i numeri”, perché la gran parte dei dati a disposizione fanno riferimento all’intera Città metropolitana.
Per un campo più ristretto al solo Circondario viene in aiuto l’Agenzia regionale coi dati sul lavoro dipendente. «Da gennaio a dicembre scorsi risulta un totale di 31.201 avviamenti, di cui il 51% riguarda uomini e il 49% donne; il 72% cittadini italiani e il 28% cittadini stranieri; il 39% giovani under 30, il 49% persone tra 30 e 54 anni e il 12% per over 55». Anche il tipo di contratto può dire molto: «il 53% è stato con contratto a tempo determinato, il 22% in somministrazione, il 13% a tempo indeterminato, il 4% con apprendistato, il 6% con contratto intermittente e il 2% con altre forme. Di questi, il 64% è full-time e il 30% part-time – risponde l’Agenzia –. Il 36% nei servizi, il 21% nel commercio, settore alberghiero e della ristorazione, il 18% in agricoltura, il 17% nell’industria il 5% nelle costruzioni e il 3% nel lavoro domestico».
Contratti precari e contratti forti
Incrociando tutte queste voci il puzzle prende forma. Ad esempio, «la sensazione che siano più le donne a “subire” un part-time involontario» di cui racconta Milandri è in parte confermata dal dato per cui hanno un part-time il 47% delle lavoratrici italiane e il 32% di quelle straniere, a fronte del 19% degli uomini italiani e del 10% degli stranieri. «Anche perché il part-time è più frequente in settori tipicamente femminili come quello dei servizi – aggiunge –. Un dato particolare invece è quello del lavoro domestico, per la maggior parte svolto da donne straniere come assistenti familiari, per i cui documenti si attiva spesso un indeterminato», spiega Milandri.
I tempi indeterminati, infatti, vedono sì una prevalenza maschile dato che lo ha il 73% degli uomini italiani e l’88% degli stranieri, ma nella fetta femminile la proporzione cambia: tra le donne straniere ha un indeterminato il 64% mentre tra le italiane solo il 45%. Colpisce anche la bassa percentuale di apprendistati su di un territorio che lamenta la mancanza di operai specializzati: «È proposto a pochi e più nell’industria, le aziende spesso non conoscono nemmeno tutte le opportunità che ci sono e per cui possiamo offrire un supporto. In molti casi gli inserimenti avvengono con contratti più precari, cioè tempi determinati, contratti intermittenti, soprattutto nei servizi, oppure con tirocini formativi», prosegue Milandri. Gli apprendistati, infatti, insieme ai tempi indeterminati, sono i contratti di maggiore qualità e nel 54% dei casi sono stati sottoscritti da uomini.